mercoledì 24 dicembre 2014

Se avessi voluto

Se avessi voluto una ragazza bella, sarei andato alle sfilate di moda o avrei stalkerato facebook, alla ricerca delle foto con più “mi piace”

Se avessi voluto una ragazza intelligente, mi sarei iscritto all’università o avrei frequentato ambienti intellettuali.

Se avessi voluto una ragazza ricca, mi sarei concentrato su donne in carriera e di successo.

Se avessi voluto una ragazza musicista, sarei andato ai concerti, negli auditorium o nei conservatori.

Se avessi voluto semplicemente una ragazza con le mie stesse passioni, mi sarebbe bastato frequentare assiduamente fiere ed eventi a tema “nerd”

Ma io non voglio tutto questo. Io voglio te.

Tu che con quel viso, sei la più bella di tutte.

Tu che con il tuo modo di ragionare, surclassi tutti quanti.

Tu che con la tua dolcezza, riesci a donare tanta felicità.

Tu che con il tuo impegno, rendi fiero chi ti vuole bene.

Tu… che con il tuo carattere, le tue passioni, i tuoi interessi, i tuoi pensieri e tanto, tanto altro ancora… sei riuscita a farmi innamorare.

Se avessi voluto qualcun’altra, l’avrei senz’altro già scelta. Ma io ho scelto te.

Ed è con te che voglio essere felice.

giovedì 11 dicembre 2014

Luna

Sono lì, nei cieli ad osservarvi.
Illumino le vostre notti.
Animo i vostri spiriti.
Scombussolo il vostro cuore ed il vostro mondo.
Vengo paragonata al vostro amore più grande e, molto spesso, perdo il confronto.
Sono stata distrutta dal maestro Muten e da Piccolo.
I nazisti hanno costruito una base sul mio lato oscuro.
Sono grassa, pallida e piena di segni.
A volte sono rossa dalla rabbia, altre volte gialla per la gelosia.
Ma, nonostante tutto, sono bellissima e voi continuate ad ammirarmi. Continuate ad ammirare quell’enorme palla in cielo che vi tiene compagnia nelle notti più buie.
Ricordatevi che non siete mai soli. E la notte, invece di piangere sul cuscino per i problemi che vi affliggono, affacciatevi alla finestra. Mi vedrete sicuramente. E chissà, magari tutto cambierà in meglio.

Con affetto

Luna

Quello che mi dai

Felicità, è quello che mi dai quando ti vedo e da lontano mi sorridi, venendomi incontro.

Sicurezza, è quello che mi dai quando sono insieme a te, camminando al tuo fianco o stando semplicemente seduti su di una panchina.

Gioia, è quello che mi dai quando ti guardo negli occhi, quando mi perdo in quei bellissimi occhi.

Spensieratezza, è quello che mi dai quando parliamo, il tempo scorre senza accorgermene, tra una risata e l'altra.

Preoccupazione, è quello che mi dai quando mi dici di essere triste. Non vorrei mai vederti triste, vorrei sempre vedere il sorriso sul tuo viso.

Calore, è quello che mi dai quando ci abbracciamo, quando ti sento così vicina a me, come se un muro ci separasse dal resto del mondo.

Importanza, è quello che mi dai quando mi cerchi. Sento di essere davvero importante per qualcuno.

Sollievo, è quello che mi dai quando mi stai a sentire senza annoiarti.

Ed infine, un'immensa Tristezza. È quello che mi dai da quando non ci sentiamo più.

venerdì 7 novembre 2014

Cammino

Cammino, lungo la strada. Tante persone, tante macchine, tanto rumore, tanta confusione. Ma ho sempre un solo pensiero in testa: tu. Cerco il tuo viso tra la folla, spero di incrociarti a qualche semaforo o di sentire la tua voce chiamarmi.

Cammino, lungo il parco. Tanti padroni con i propri cani, tanti genitori che portano i propri figli a giocare, tanti ragazzi intenti a fare un picnic. Ed anche qui, io ti cerco. Spero di incontrarti mentre porti a passeggio il tuo cane o di vederti in compagnia dei tuoi amici, mentre ti diverti e sfoggi il tuo bellissimo sorriso.

Cammino, lungo la fiera del fumetto. Tante facce, tanti cosplay. Ma di te, neanche l'ombra. Speravo di rivederti in cosplay, eri bellissima da Gumi. Oh, dimenticavo: tu sei sempre bellissima.

Cammino, lungo il porto di sera. Era qui che eravamo intendi a messaggiare una sera, con i miei amici che curiosavano e mi chiedevano di te. E mentre ammiravo le stelle, sorridevo pensando a te, per poi mandarti un altro sms.

Cammino, lungo il sentiero della mia vita. Quel sentiero che ci ha fatti incontrare, all'improvviso. Quel sentiero che ci ha fatto proseguire insieme per un po' di tempo, abbastanza per farmi innamorare di te. Quel maledetto sentiero che alla fine ci ha diviso.

Mi fermo. Penso se valga ancora la pena percorrerlo senza di te. Ci ragiono ancora e ancora. Ed intanto il tempo passa.

Corro. Voglio fuggire, da tutto e da tutti. Il pensiero di non rivederti mai più mi distrugge. Scappo, senza guardare dove sto andando. Sono in balia del Destino. O lo sono sempre stato. Volgo sempre lo sguardo indietro, al passato, ricordando i bellissimi momenti passati insieme.

Cammino. Continuo a camminare, nella speranza di incontrarti di nuovo. Nella speranza che qualcosa sia cambiato.

Nella speranza... cammino

domenica 26 ottobre 2014

Ti Amo

Ti Amo. Due parole che mi hanno cambiato la vita. Due parole che non riesco a dimenticare. Due parole che non ti ho mai detto esplicitamente, un po' per vergogna ed un po' per paura. Più per paura. Solo per paura. Paura della tua reazione, paura del tuo rifiuto. Ed ora è tutto finito, senza aver avuto la possibilità di dirti un "Ti Amo" sincero e dal vivo. E allora lo scrivo. Lo scrivo, sperando che questo messaggio possa arrivarti in un modo o nell'altro. Perché anche se sono passati mesi e tanti altri ne passeranno, quello che provo per te non passa. Resta qui, nella mia mente e nel mio cuore, insieme a quelle due famose parole che non ti ho mai detto, ma che ti ho sempre lasciato intendere con i miei comportamenti e le mie attenzioni. Perché anche se non ci sei, per me ci sarai sempre. Ed anche se leggerai queste righe, so già che le cose non cambieranno. Ma lascia almeno che possa dire liberamente ciò che provo.

Io Ti Amo. Ti Amo perché sei la prima persona ad avermi fatto provare sensazioni mai provate prima. Ti Amo perché sei la prima persona ad essersi avvicinata così tanto a me in così poco tempo. Ti Amo perché mi capisci. Ti Amo perché sono come te e tu sei come me. Ti Amo perché siamo uguali ma differenti, diversi ma simili. Ti Amo perché basta guardarti per farmi sorridere. Ti Amo perché col tuo sorriso mi fai stare bene. Ti Amo perché con i tuoi abbracci sai calmare e scaldare il mio animo. Ti Amo per i tuoi infiniti pregi ed i tuoi pochi difetti. Ti Amo per gli interessi che hai, per la tua curiosità e la tua intelligenza. Ti Amo per la tua dolcezza e sensibilità. Ti Amo per il tuo essere leale e matura. Ti Amo per tante, forse troppe cose. Ma non posso farci nulla. La colpa però è anche un po' tua: se non fossi così perfetta per me, tutto questo non sarebbe accaduto. Se non fossi la mia anima gemella, non avrei mai provato questi sentimenti.

Per tutto questo e per molte altre cose

Ti Amo.

mercoledì 8 ottobre 2014

Mi manca

Mi manca parlare con te. Stare ore ed ore ad ascoltarti, a consolarti o a spalleggiarti, ascoltando i tuoi problemi o le tue gioie o le tue preoccupazioni. Ascoltavo e mi domandavo come facessi ad essere sempre così interessante e mai noiosa.

Mi manca scherzare con te. Mi facevi ridere, ridere di cuore. Ci conoscevamo relativamente da poco, ma eravamo già in perfetta sintonia. Una sintonia che ho raggiunto con quelle poche persone che conosco da più di 6 anni ormai.

Mi manca passeggiare con te. Per le vie di Lucca o di Rimini, prendendoci un gelato, commentando i vari cosplay, cantando, ridendo e scherzando. Non sai quanto avrei voluto passeggiare mano nella mano.

Mi manca il tuo sguardo. Quello sguardo innocente, eppure sensuale. Quello sguardo dolce, ma pieno di preoccupazioni. Quello sguardo attento e sempre interessato. Ed i tuoi bellissimi occhi che mi mandavano sempre in confusione.

Mi manca il nostro legame. Io ero il tuo Creatore e tu il mio Horcrux, era questa la nostra piccola storia che avevamo costruito insieme. A volte era pure inquietante: avevamo gli stessi pensieri, le stesse idee, ci rubavamo le parole a vicenda, era come essere l'uno nella testa dell'altra. E la cosa mi piaceva da impazzire.

Mi mancano le tue attenzioni. Quando mi cercavi, quando mi contattavi, quando volevi che giocassimo insieme. Ero veramente felice quando lo facevi. Anche quando mi cercavi a notte fonda per parlarmi dei tuoi problemi, facendomi restare sveglio, anche se il giorno dopo avrei dovuto alzarmi presto per andare a lavoro. Non mi importava perché ero felice.

Mi manca il tuo carattere. I tuoi atteggiamenti così schivi con chi non conoscevi e così esuberanti con chi invece eri in confidenza. Il tuo essere estremamente dolce e sensibile, ma anche autoritaria quando la situazione lo richiedeva. E la tua maturità che ogni volta mi lasciava di sasso.

Mi mancano i tuoi abbracci, così calorosi ed affettuosi, così lunghi ed interminabili. Ogni volta era una gioia, ogni abbraccio una festa in gran stile. Una festa silenziosa: solo io, tu ed il nostro abbraccio. Il resto del mondo spariva.

Ed infine, mi manca lui.... il tuo sorriso. Quel sorriso che era la luce per me, che illuminava il mio viso, la mia giornata, la mia vita. Quel sorriso che non vedevo l'ora di vedere. Quel sorriso che mi accompagnava sempre in ogni giornata, nella mia testa. Quando eravamo insieme, cercavo di farti ridere apposta per poterlo ammirare. È una cosa egoista, lo so, ma non potevo farci nulla. Ero assefuatto da quel sorriso così perfetto.

Mi manca..... mi manchi.

Mi manchi terribilmente.

lunedì 22 settembre 2014

Speranza

Speranza. Tutti ne conosciamo il significato.

"Spero che domani sia bel tempo"

"Spero che il treno non ritardi"

"Spero di trovare ancora quel vestito visto ieri in quel negozio"

"Spero di passare l'esame"

"Spero che l'operazione vada bene"

"Spero in un futuro migliore"

La speranza è quella cosa a cui tutti fanno riferimento quando devono conseguire qualcosa, che sia un oggetto da possedere o un sogno da realizzare. Anche quando la situazione è palesemente disperata, la speranza è quella forza che ci fa andare avanti, che ci fa continuare sul nostro cammino, perseguendo l'obiettivo tanto agognato.

Ma cosa accade quando anche la speranza viene meno? Il vuoto. Siamo presi da un enorme sconforto, i nostri sogni si disintegrano, non abbiamo più la forza per andare avanti. Ma questo non è propriamente un male: in questo modo, lasciando passare del tempo, è possibile ricominciare. Un nuovo sogno da inseguire, una nuova vita, nuove possibilità. Continuando a sperare invece, si è intrappolati in quella dolce e letale illusione del "prima o poi accadrà, me lo sento!" che ci impedisce di vivere appieno, ma che ci da l'illusione di stare bene, di poter realizzare i nostri sogni.

Ma possiamo davvero dire addio ad un sogno? Possiamo davvero arrenderci a qualcosa che desideriamo con tutte le nostre forze, anche quando la situazione ci è completamente avversa? È davvero così semplice rinunciare, anche per necessità? No, non è semplice per niente. Anche se gli altri ce lo dicono, anche se la situazione è palesemente ostile, noi non riusciamo ad arrenderci. Noi NON VOGLIAMO arrenderci. Vogliamo continuare ad illuderci, a soffrire e a sperare.... sperare che le cose si sistemino.

E voi che tipi siete? Riuscite ad abbandonare un sogno anche quando è palesemente impossibile o ci sperate fino alla fine e possibilmente anche oltre, rinunciando anche ad essere felici?

domenica 21 settembre 2014

Sei

Sei, per tua madre, il suo tesoro più grande

Sei, per tuo padre, la sua piccola bambina che mai crescerà

Sei, per tua sorella, un piccolo impiastro a cui volere un mondo di bene

Sei, per tuo fratello, la sua sorellina che va protetta

Sei, per i tuoi insegnanti, la speranza per il futuro

Sei, per altri tuoi insegnati, solamente un disastro

Sei, per la tua insegnante di violino, una persona talentuosa

Sei, per i tuoi amici, una bellissima persona, pronta ad aiutarli e consolarli nel momento del bisogno

Sei, per i tuoi nemici, una persona da odiare a causa del tuo carattere troppo buono e gentile

Sei, per chi non ti conosce, una persona interessante

Sei, per chi ti conosce, indispensabile

Sei tante cose per tante persone, ma per me sei e rimarrai sempre il mio universo.

Sei la vita che ho sempre sognato, il sogno che ho sempre sperato si avverasse.

Sei il miracolo che aspettavo da tempo.

Sei tu, la persona che mi fa stare bene.

Sei tu, la persona che non smetterò mai di amare.

È da quando...

È da quando ho cominciato a conoscerti che la mia mente ha iniziato a solleticarmi, ritenendoti una persona veramente interessante.

È da quando ti ho incontrata per la prima volta che il mio cuore ha cominciato a sussultare senza alcun motivo apparente.

È da quando abbiamo approfondito la nostra conoscenza che ho perso interesse nelle altre ragazze.

È da quando mi fai stare bene in un modo che solo tu sai fare che ho perso interesse nei miei passatempi.

È da quando poche ore prima di ogni nostro incontro che provo un'ansia ed un'emozione pazzesca che quasi mi squarcia il petto e mi annoda lo stomaco.

È da quando sono con te che non mi importa più la destinazione o il luogo dove ci si trova: anche un semplice muretto può essere magico.

È da quando cazzeggio con te che ho capito di aver trovato la mia parte mancante, la mia anima gemella, il mio Horcrux.

È da quando ti guardo che i miei occhi brillano di una luce più pura e cristallina dei diamanti.

È da quando ti parlo che mi sento sciolto ed a mio agio, come se ci conoscessimo da anni ormai.

È da quando mi sono innamorato di te che l'universo ha perso completamente significato, rappresentando solamente delle lucette sparse qua e la, in confronto alla tua bellezza, travolgente ed infinita.

È da quando ti conosco che aspetto solo un tuo messaggio per essere felice.

Ed è da quando non ci sei più che la mia vita ha perso colore: un'immensa distesa nera, come l'universo, ma senza luci ad adornarlo.

mercoledì 13 agosto 2014

Buonanotte

Vorrei augurarti la buonanotte, a te che sei il mio piccolo Tesoro.

Vorrei augurarti la buonanotte, scrivendoti un dolce e tenero messaggio.

Vorrei augurarti la buonanotte, per sentire la tua bellissima voce prima di andare a dormire.

Vorrei augurarti la buonanotte, per impedire agli incubi di molestarti.

Vorrei augurarti la buonanotte, per farti essere il mio ultimo pensiero prima che la giornata sia finita.

Vorrei augurarti la buonanotte, mandandoti un bacio mentre siamo in videochiamata su skype.

Vorrei augurarti la buonanotte, abbracciandoti mentre siamo sdraiati nel letto, avvolti nelle coperte in inverno o seminudi con il caldo d'estate.

Vorrei augurarti la buonanotte, mentre ti fisso in quei begli occhi scuri e profondi in cui adoro immergermi.

Vorrei augurarti la buonanotte e vedere le tue labbra che si muovono e mi rispondono, ma che non riuscirei a comprendere perché confuso e paralizzato dalla tua bellezza.

Ma, più di ogni altra cosa, desidero che la mia buonanotte possa arrivarti, uno di questi giorni...

venerdì 1 agosto 2014

La mia anima gemella

Il seguente testo è un'opera di fantasia partorita dalla malsana mente del sottoscritto. Ogni riferimento a persone, luoghi, fatti è puramente utopico. Se mai questa persona dovesse esistere e dovessimo legarci, l'universo cesserebbe di esistere avendo creato un paradosso.
Il seguente testo contiene molti riferimenti nerd, se non capite non preoccupatevi: siete sani.

È sera. Una ragazza dopo una lunga giornata di lavoro, decide di rilassarsi nel suo appartamento. Qualche snack, qualche bibita gassata, pc, smartphone e console nella sua stanzetta poco illuminata. Un po' di sano relax se lo merita dopo aver sbattuto la testa sul codice di un programma per 9 ore. Un violino buttato sul letto insieme ad alcuni spartiti. La ragazza lo guarda e pensa: "cavolo, è da tanto che non studio musica... ma c'è questo gioco che mi ha preso davvero tanto!". È davanti al pc a controllare le ultime notizie, roba nerd come suo solito. Ogni tanto si gira in direzione del violino ed esclama: «Non guardarmi così! Anche il piano di là mi ha guardata male quando sono passata. Non... non è colpa mia. Capitemi! Sto giocando a Xenoblade...». Finito il giro di news, ecco che si appresta ad accendere il Wii e a giocare a Xenoblade Chronicles. Lo Smartphone vicino a lei per essere sempre connessa con il mondo. "Certo che Shulk giocabile nel nuovo Smash Bros ci starebbe da dio!" pensava mentre giocava.

Passano i mesi e finalmente esce Smash Bros per 3DS. Lo compro al lancio ovviamente e mi ci perdo completamente. Arriva il Lucca Comics. Me ne vado in giro a cercare ignari sfidanti da massacrare. Sì perché me la cavo piuttosto bene a Smash Bros. Ed ecco che incontro questa ragazza. Carina, molto carina e.... gioca a Smash Bros? "Sicuramente gliel'avrà regalato il ragazzo ed utilizzerà personaggi come il Villager o la WiiFit Trainer... la massacrerò in 2 secondi" pensavo tra me e me. Inizia lo scontro, ha preso Palutena. "Strano, saprà almeno chi è o l'ha presa solamente per il suo aspetto", pensai. Lo scontro procede inaspettatamente.... "Mi sta tenendo testa!?". La guardo, impegnata a giocare senza distrarsi. "Eppure è lei che gioca, non è nessun altro. Non è possibile!". L'incontro finisce, riesco a vincere per pura fortuna. Lei si complimenta con me e chiede una rivincita. Ci appartiamo in un luogo più tranquillo e ci mettiamo seduti. Facciamo un incontro. Poi un altro. Un altro ancora. Ridiamo e scherziamo. Chiacchieriamo allegramente come fanno due vecchi amici. La cosa mi stupisce visto che l'ho incontrata solamente qualche ora fa. Ed io non mi apro in questo modo con chi non conosco bene!
Dobbiamo separarci per continuare i nostri giri, ma decidiamo di incontrarci il giorno dopo. Ci scambiamo i numeri di telefono ed i contatti di facebook. Tempo 5 minuti e ci riempiamo le rispettive bacheche di "mi piace". Abbiamo dei gusti SPAVENTOSAMENTE simili. Non solo i gusti, ma anche il modo di pensare, il carattere, i modi di fare.
Ci rivediamo una volta. E poi un'altra. Ed un'altra ancora. Stiamo bene, benissimo insieme. Oserei dire che siamo fatti l'uno per l'altra. Abitiamo distanti è vero, ma ciò non ci frena minimamente, anzi, ci da la forza per continuare a volerci. Entrambi abbiamo la maturità e la forza necessaria per intraprendere una relazione a distanza. Una relazione a distanza che va avanti da 5 anni. Finalmente lei riesce a diplomarsi al conservatorio come pianista e violinista. Io sono riuscito ad avere un po' di stabilità ed esperienza nel lavoro. Ora lei dovrà iniziare a fare concerti e saggi in tutto il mondo. Un musicista agli esordi non può davvero sperare di trovare un lavoro soddisfacente qui, in Italia. Deve trovare la sua fortuna all'estero.
Sembrerebbe un addio..... E INVECE NO! Decido di lasciare il mio lavoro. Ho una piccola fortuna messa da parte in tutti questi anni, volevo usarla per me e per lei... e così farò. La seguirò anche in capo al mondo se necessario, staremo insieme e mentre lei si esibirà negli auditorium e nei teatri di tutto il mondo, io farò dei lavoretti dove capita oppure online, grazie alla rete. I primi anni sono stati duri: lei senza esperienza ma con tanta voglia di fare, non viene comunque presa. Io con esperienza ma con problemi con le lingue, non riesco ad ingranare. Entrambi siamo delusi e stressati.... ma questo non ci ha allontanati, TUTT'ALTRO! Siamo sempre molto uniti, quasi una cosa sola. Ci spalleggiamo e sosteniamo a vicenda, continuiamo ad andare avanti, insieme.
Finalmente arriva la prima vera prova per lei: un piccolo concerto. Lei avrà anche una parte da solista. È il grande giorno. Sale sul palco ed inizia a suonare. Legato alla stecca del violino, c'è un piccolo portachiavi che le regalai anni fa, un portachiavi con il logo di Smash Bros. Il concerto è andato benissimo e lei ha suonato divinamente. Da quel giorno iniziarono ad arrivare moltissime richieste. Anche io riuscii a finire un'applicazione per android che andò piuttosto bene.
I successivi 10 anni li abbiamo passati così, sempre di corsa da un Paese all'altro, senza mai fermarci. Ma anche senza perdere la nostra passione ed il nostro amore. Decidiamo quindi, io a 43 e lei a 38 anni, di fermarci e stabilirci da qualche parte. Decidiamo di tornare nel nostro Paese d'origine, l'Italia. È lì che è iniziato tutto ed è giusto che sia lì a finire. Compriamo una casa a Roma, una bella casa con tanto di giardino. Abbiamo un cane e dei gatti. Decidiamo di avere un figlio o anche due. Finiamo per averne tre: due maschi ed una femmina. Per i nomi siamo stati d'accordo: i primi due sono Luca e Valentina, gemelli. Luca è quello che è uscito per primo. Due anni dopo abbiamo avuto anche Francesco. Tutti in perfetta salute, anche se li abbiamo avuti abbastanza tardi. Lei non ne ha risentito minimamente. I nostri figli crescono bene, con una sana educazione che comprende il rispetto degli altri, ma anche il farsi rispettare (questo lo hanno ripreso dalla madre).
In passato abbiamo avuto delle brutte, bruttissime esperienze, ma ora sembra che le cose si siano riequilibrate. Finalmente.
Siamo una famiglia felice.

Che si sia avverato il desiderio espresso sentendo questa canzone?

giovedì 24 luglio 2014

Mare d'inverno

Onde. Onde gelide, senza vita. Onde che si infrangono a riva. Onde che si infrangono sugli scogli. Senza un perché, accade e basta.

Sabbia. Sabbia fredda. Sabbia soffice, senza vita, che si staglia sotto i miei piedi nudi. Sensazione sgradevole.

Vento. Un vento glaciale, senza vita, che mi sfiora il viso, me lo pizzica. È fastidioso.

Sole. Un sole spento, senza vita, che non riscalda, in questa uggiosa giornata invernale. È triste.

Sguardo. Il mio sguardo, che cerca disperatamente te. Guarda a destra e vede niente. Guarda a sinistra e vede niente. Guarda in avanti, scrutando l'orizzonte, ma non ci sei. Allora guarda indietro e vede i ricordi. Tanti ricordi di noi due insieme.

Felicità. Quella di un tempo, insieme a te. Non ricordo più come sia fatta. Perduta per sempre.

Sogni. Sogni infranti.

Come le onde.

Del mare.

D'inverno.

venerdì 18 luglio 2014

Il sogno di noi due insieme

https://www.youtube.com/watch?v=EsMTLkuMBp4 (la canzone del piano, da usare come sottofondo)

Primavera. Una calda e soleggiata giornata di primavera. Il 15 aprile per la precisione, il giorno del tuo compleanno. Preparai il pranzo per noi due soli, nella nostra bellissima casa in campagna, lontano da tutto e tutti. Mangiammo raccontandoci vari aneddoti della nostra gioventù, di quante ne passammo insieme e da soli. Una volta finito di mangiare, ti diedi il tuo regalo. Un libro illustrato di Yayoi Kusama. Ricordai ti piacesse, ed infatti mi ringraziasti con un lungo e caloroso abbraccio, seguito da un lungo ed interminabile bacio. "Strano ricevere regali anche quando non è il nostro compleanno", pensai in quel momento. Iniziasti a sfogliarlo in preda all'eccitazione, sembravi una bambina il giorno di natale. Ti mettesti nel tuo posto speciale, vicino alla finestra che dava sul campo di girasoli. Indossavi un bellissimo abito bianco di seta, proprio come quelle fate che si leggono nelle fiabe.
Eri lì, seduta su quella sedia di legno che un po' scricchiolava, ma che a te piaceva tanto. Ad ogni pagina, il tuo sorriso si allargava sempre di più. Eri la felicità fatta persona. Mentre sfogliavi il libro, io accompagnavo quel momento con il pianoforte che avevamo in soggiorno, sulle note di "To The Same Heights", dalla ost di Clannad, ripensando a quanto abbiamo pianto quella volta che lo vedemmo insieme. E, mentre suonavo, non potevo fare a meno di ammirarti. Ammirare quel viso angelico illuminato dal sole primaverile alto nel cielo, ammirare i tuoi lunghi capelli neri mossi dalla fresca brezza che entrava dalla finestra, ammirare quel tuo sorriso da fare invidia alla Gioconda di Leonardo, ammirare le tue candide mani che dolcemente sfogliavano quel libro, ammirare le tue gambe accavallate che ti donavano un'aria molto innocente e sensuale al tempo stesso. Continuai a suonare e a guardarti. Tu ogni tanto alzavi lo sguardo e ricambiavi sorridendomi. Quando lo facevi, mancavo una nota tanta era l'emozione. Improvvisamente chiudesti il libro e venisti vicino a me, rimanendo in piedi a guardarmi mentre suonavo.

"Cosa c'è?", ti chiesi senza smettere di suonare.

"Aspetto che tu finisca", mi risposi.

"Perché?"

"Perché ho voglia di abbracciarti"

Terminai di suonare la canzone e mi alzai in piedi. Ci guardammo negli occhi: un lungo ed intenso sguardo. Potevo notare quanta meraviglia ed amore si celasse nei tuoi splenditi occhi scuri. Sono sicuro che tu abbia notato lo stesso nei miei. Entrambi stavamo per pronunciare quelle due parole che mai avremmo smesso di ripeterci, che mai ci sarebbero venute a noia, che ogni volta era come fosse la prima volta.



La canzone finì. Il player di youtube era fermo, pronto per essere riavviato. Riaprii gli occhi. La mia mano tremava. Feci cadere la penna sulla scrivania che rotolò fino a cadere a terra. Rilessi l'ultima frase scritta: "che ogni volta era come fosse la prima volta". Una lacrima scese dal mio viso e si infranse sul foglio, bagnandolo. E così un'altra. Ed un'altra ancora. Molte parole erano illeggibili per quanto fossero sbiadite.
Con la mano ancora tremante, raccolsi la penna da terra e scrissi un'ultima parola, alla fine del foglio, nella parte destra. Una parola, una richiesta, un'esclamazione detta con rabbia o sconforto.






"Perché"

sabato 12 luglio 2014

Specchio

Capelli più lunghi, qualcuno anche bianco.

Qualche ruga qua e la.

Una barba sempre più in crescita.

Occhiaie vistose.

Sorriso spento.

Occhi assenti.

Qualche lacrima che scende lungo le guance.

E lì, dall'altra parte di quello specchio a cui ti affacci ogni mattina, vedi un ragazzo. Non troppo bello, con i segni della pubertà in bella vista, capello corto, sbarbato, poche occhiaie, occhi vispi ed un bel sorriso stampato in volto, malgrado tutto.

È lì che ti osserva, con fare interrogativo. Chissà cosa gli passa per la testa.

Non puoi far altro che osservarlo ed invidiarlo.

"Non avrei mai pensato che saresti diventato così un giorno", esclama lui.

"Perché, cosa ti immaginavi?", gli domandi.

"Immaginavo saresti diventato più brutto, quello sì"

Accenni un sorrisetto.

"Ma perdere il sorriso... quello non l'avrei mai detto. Ne hai passate tante, ma il sorriso non ti è mai venuto meno"

"È la vita, non sai mai cosa può capitarti"

"Cose brutte?"

"Cose TERRIBILI"

"Tanto da ridurti in questo stato?"

"Già"

"Mi dispiace..."

"Ci ho fatto l'abitudine", menti.

"Vedrai che andrà meglio!", non ne era molto sicuro nemmeno lui.

"Lo spero"

Ogni mattina, prima di andare a lavoro, osservavi in quello specchio il tuo passavo. E la domanda che ti ponevi era sempre la stessa, oramai da diversi anni:

"Come ho fatto a ridurmi così?"

Quello che desideravo

Eccomi qui, mentre cado nel vuoto. Il terreno si è letteralmente aperto sotto ai miei piedi, ed io sto cadendo.

Cado, cado senza mai fermarmi. Cado per decine di centinaia di metri ed ancora non si vede la fine.

L'oscurità sta diventando sempre più fitta. Non si vede nulla. Non si sente nulla. Mi agito, ma c'è solo vuoto intorno a me. E quel buco in lontananza, da cui arriva ancora una flebile luce. Da cui mi sto allontanando sempre più.

E ripenso a come sia finito qui, in questo baratro di tristezza e disperazione.

Ripenso a te. Ripenso a noi. A ciò che potevamo essere. A ciò che non siamo e non saremo mai stati. Alla paura che ci ha colpito. Alla distanza che ci ha fermato. Alle differenze che ci hanno bloccato. A quel sentimento che solo me ha invaso.

Troppi "se". Troppi interrogativi. Troppi dubbi. Tanto rammarico. Tanta tristezza.

Quello che desideravo, era solo una possibilità.

Ti avrei dimostrato che avremmo potuto farcela, malgrado le diversità, malgrado le difficoltà, malgrado tutto e tutti. E se anche avessi fallito, non avrei avuto rimpianti, perché ci avrei comunque provato. Ci avremmo comunque provato.

Ti avrei protetta. Ti avrei amata. Ti avrei fatta sentire importante. Ti avrei accompagnata per questo lungo cammino che è la vita, tenendoti per mano. Ti avrei incoraggiata nelle tue scelte. Ti avrei consolata nei tuoi sbagli. Avrei sorriso per ogni tuo successo. Ti avrei abbracciata per ogni tua sconfitta, sussurrandoti "non fa niente, la prossima volta andrà meglio". Avrei fatto tutto il possibile per renderti felice.

Ma ora sono qui, che continuo a cadere. E con lo sguardo rivolto verso quella flebile luce, ti cerco. Ti cerco ancora.

Fai presto.

Prima che l'oscurità mi avvolga completamente. Prima che sia troppo tardi.

Afferra la mia mano e tirami fuori da qui.

Ti prometto che ne varrà la pena. Non te ne pentirai. Non ce ne pentiremo.

Quello che desideravo... eri tu, solamente tu.

domenica 6 luglio 2014

Con te

Con te, la giornata inizia con il sole che risplende e mi sveglia, anche se fuori è nuvoloso e la tapparella alla finestra è abbassata

Con te, la colazione ha il sapore più dolce di tutti, ma non posso gustarmelo a causa delle farfalle nello stomaco

Con te, gli uccellini sembrano Ghiandaie Imitatrici che intonano la tua bellissima voce

Con te, uscire di casa equivale a stare con la testa tra le nuvole, rischiando di sbatterla contro qualche palo o di urtare qualche passante

Con te, il cellulare diventa un'ossessione

Con te, il tempo passa anche troppo velocemente

Con te, non ho bisogno di inutili distrazioni

Con te, le passioni assumono un nuovo significato, da provare insieme

Con te, ogni viaggio è un'avventura

Con te, la notte la si passa in bianco

Con te, i sogni sono solo un simpatico ornamento mentre si dorme

Ed il mondo risuona di una melodia nuova, che sveglia il cuore e la voglia di vivere

Con te

Senza te

Senza te, la giornata non inizia

Senza te, la colazione ha un sapore amaro

Senza te, gli uccellini intonano una straziante melodia

Senza te, non ha senso uscire di casa

Senza te, il cellulare è solo un ornamento

Senza te, le ore non passano mai

Senza te, le distrazioni diventano necessità

Senza te, le passioni perdono di significato

Senza te, viaggiare diventa noioso

Senza te, la notte fa paura

Senza te, i sogni diventano salvezza o distruzione

Ed il mondo è il posto peggiore che possa esistere

Senza te

venerdì 4 luglio 2014

Sei bellissima

Sei bellissima, tu.

Non per il tuo sorriso radioso.

Non per i tuoi occhi scuri e profondi.

Nemmeno per quei capelli neri che si adagiano delicatamente sulle tue spalle.

Né per quelle guance soffici o per quel naso grazioso che hai.

Queste cose ti rendono semplicemente bella. 

Ma tu sei bellissima.

Il tuo carattere, i tuoi modi di fare, la tua dolcezza, la tua gentilezza, il tuo animo così puro ed altruista, le tue idee, i tuoi sogni, le tue emozioni… tutto questo ti rende bellissima.

E se non te ne rendi conto, permettimi di essere il tuo specchio.

Permettimi di dirti ogni mattina, appena ti svegli, senza trucco, con i capelli stropicciati e l’espressione ancora assonata, mentre mi fissi sorridendo

“anche oggi sei bellissima”

domenica 25 maggio 2014

L'ultima volta

Sono passati mesi dall'ultima volta che ci siamo sentiti. Ogni giorno mi domando come tu stia, cosa tu stia facendo. Mangi abbastanza? Ridi abbastanza? Sei felice? Tutte cose che non potrò mai sapere. È buffo che un amore possa far finire un'amicizia. Eppure i ricordi di noi due insieme sono ancora vivi nella mia mente.
L'ultima volta che siamo stati in vacanza insieme.
L'ultima volta che abbiamo riso insieme.
L'ultima volta che ci siamo guardati negli occhi.
L'ultima volta che ci siamo sentiti.
Ricordi che non riesco a dimenticare. Ricordi di quel tempo oramai lontano. Ricordi che un tempo mi facevano sorridere, ma che ora sono solo delle lame nel petto.
Dall'ultima volta ho provato ad andare avanti, ma è stato tutto inutile. Io non volevo stare con chiunque altra, io volevo stare con te! Perché le altre non saranno mai come te.
A volte alzo la testa ed osservo il cielo. Quell'immensa distesa azzurra, le nuvole, gli uccelli che volano, la pioggia che cade, i fulmini. Mi ricorda molto te. Tu, quando eri felice e spensierata, che anche con qualche problema ridevi sempre, ma che, quando non ce la facevi più, scoppiavi a piangere e ti alteravi. Proprio come il cielo.
Dall'ultima volta, controllo sempre il mio smartphone, nella speranza di leggere un tuo messaggio, di ricevere una tua chiamata, di veder comparire una qualche notifica riguardo te. So che è tutto inutile, ma sai come sono, mi piace illudermi.
Chissà se un giorno potremmo incontrarci nuovamente. E chissà se mi riconoscerai. Avrei tante cose da dirti, tante cose da raccontarti, ma finirei per non dire nulla, perdendomi nei tuoi occhi.
Tutto questo non ha comunque importanza, dall'ultima volta. 
Spero solo che tu sia finalmente felice. Che quel cielo che amavo osservare sia sempre limpido e sereno, non più carico di pioggia e fulmini.

Ed ogni volta che osservo il cielo, mi faccio sempre la stessa domanda: mi pensi anche tu qualche volta?

sabato 24 maggio 2014

Il Pittore Ambizioso - capitolo 3 - Colori

Camminò per ore Elia, in mezzo alla desolazione più totale: intorno a lui c'erano solo rocce e qualche sterpaglia. La terra aveva delle crepe causate dalla siccità, il vento alzava polvere e terriccio facendo apparire l'ambiente ancora più desolato. Era un ambiente veramente ostile, inadatto alla vita.

"Perfetto! È il luogo ideale per fare pratica di pittura" pensò Elia che estrasse la sua incredibile tavolozza. Prese il pennello e pensò: "Inizierei con un po' di verde...". Detto fatto: il pittore agitò il pennello ed una scia verde ne scaturì dalla punta. Si muoveva leggiadro Elia, come se quel pennello fosse l'estensione del suo braccio e, cosa più importante, stava sorridendo. Dopo tanto tempo, aveva finalmente ritrovato la voglia di dipingere, la gioia di dipingere! Non era più solo un lavoro, non era più un obbligo: lui stava dipingendo per il gusto di farlo, per vedere le sue creazioni prendere vita. Con la sola differenza che, questa volta, le sue opere avrebbero preso realmente vita!

"Un po' di verde qui.... un po' di marroncino lì.... un po' di rosso qua.... un po' di giallo la...."

Pian piano intorno a lui si stava formando una vera e propria foresta: alberi imponenti, alcuni ricoperti da frutta, il terreno ricoperto da erba e fiori di ogni genere, funghi che crescevano ai piedi degli alberi, cespugli pieni di frutti di bosco, piante di ogni specie, terra fresca e viva.

"Senza un sostentamento la mia opera rischia di appassirsi e tornare alla desolazione di prima.... ci serve dell'acqua!". Detto fatto, Elia agitò il pennello e creò un lago in mezzo alla foresta.

"Ora tutte le piante avranno dell'acqua fresca con cui sostentarsi, evitando di appassire. Però così il paesaggio è un po' spoglio.... ci vuole un po' di vita!". Elia riprese ad agitare il pennello. "Un po' di grigio, un po' di bianco, un po' di giallo.... orecchie a punta, occhi profondi che incutano timore, zanne aguzze...", la mente del pittore aveva ben chiaro il soggetto del disegno. Dopo qualche minuto, ecco apparire un bellissimo esemplare di lupo: occhi gialli, pelo argentato, lunghi artigli. Aveva il naso giallo, questo perché Elia non voleva che incutesse troppo timore e che fosse docile ed amichevole. Ma quel lupo era tutto fuorché amichevole: appena vide il pittore, tirò indietro le orecchie e cominciò a ringhiare, mostrando i suoi affilati denti aguzzi. Elia capì che non bastava creare qualcosa perché questa ti fosse fedele. Il lupo si mise in posizione d'accatto, pronto a balzare al collo del pittore che, preso dal panico, iniziò a tremare. "Che cosa faccio adesso? Cosa può addolcire una creatura selvaggia? Pensa Elia, pensa..... ci sono!". Il pittore mosse il pennello prima che la bestia potesse balzargli addosso. Quest'ultima, vedendo il brusco gesto di Elia, saltò istintivamente addosso all'uomo, facendolo cadere a terra. Il suo muso era a pochi centimetri dal viso del pittore. Elia poteva sentirne il caldo respiro. La fine era vicina... chiuse gli occhi pregando con tutte le sue forze di sopravvivere. Sorprendentemente il lupo non lo azzannò, ma iniziò a leccarlo affettuosamente.

«Piano... piano.... così mi fai il solletico!» disse ridacchiando Elia, allontanando il muso del lupo dalla sua faccia. Quel lupo che un attimo prima era una spietata belva assetata di sangue, ora era docile come un agnellino.

"Il segreto è l'amore! Mi è bastato tingere il suo cuore di un forte rosso per far sì che mi amasse, e ha funzionato" pensò il pittore mentre fissava quel docile lupo. "Ora so come mi devo comportare!"

Il pittore riprese a destreggiarsi con il suo pennello, usando ogni genere di colore e disegnando ogni genere di forma: creò animali di tutti i tipi e dimensioni, dal possente elefante fino alla minuscola formica, e a tutti infuse una dose di amore così che non potessero attaccarsi a vicenda. Predatori e prede coesistevano armoniosamente in quell'habitat dalla magica atmosfera. Tutto era un tripudio di colori: nel cielo volavano stormi di tanti uccelli diversi, nel lago erano presenti tante di quelle specie di pesci da formare un quadro nell'acqua, sulla terraferma le varie specie davano vita al tutto: ghepardi, lupi, leoni, iene, orsi, tori, pantere andavano tranquillamente a passeggio insieme a cervi, pecore, zebre, gnu e tantissime altre specie, pericolose o meno. Era un vero paradiso.

"Sento che manca ancora una cosa...." pensò Elia. Agitò per l'ultima volta il pennello ed ecco spuntare dal nulla un uomo ed una donna, entrambi di carnagione chiara e con indosso abiti arabeggianti. L'uomo era alto e muscoloso, pelato e con una folta barba risaltata dai suoi occhi verdi. Indossava degli abiti rossi con dei ghirigori dorati che somigliavano a tante chiavi di violino. La donna invece aveva capelli lunghi e neri, leggermente ondulati, che le arrivavano fino ai fianchi. I lineamenti del viso quasi perfetti, come quelli di un angelo. I suoi occhi azzurri e cristallini avrebbero rapito chiunque, come le sue labbra estremamente sensuali. Indossava degli abiti celesti con dei ghirigori dorati che ricordavano delle chiavi di basso.

«Dove siamo? Che posto è questo?» disse l'uomo spaesato. Anche la donna non sapeva cosa stesse succedendo.

«Benvenute nel mio mondo! Io sono Dio e voi siete delle mie creazioni, insieme a tutte le altre creature che vedete qui» disse Elia cercando di contenere le risate.

«Quindi sei stato tu a crearci? Te ne saremo eternamente grati!» disse l'uomo.
«Ma perché ci hai creato?» chiese la donna.
«Già e quali sono i nostri nomi?» ribatté l'uomo.

"Caspita, li ho fatti più svegli di quanto pensassi! Ed ora che gli rispondo? Nel libro che ho letto, non hanno mai esposto questa domanda.... oh beh, mi inventerò qualcosa".

«Tu, mio uomo, sei Adamo. E tu, mia graziosa fanciulla, ti chiami Eva. Siete stati creati per vivere in armonia insieme a queste altre creature in questo luogo. Non temete, non vi faranno del male. Qui siete al sicuro, questo è il giardino dell'Eden!» disse con fierezza Elia.

«Ti ringraziamo Dio per averci creato. Come possiamo ripagare la tua immensa gentilezza?» disse Adamo.

«Non devi ringraziarmi, l'ho fatto per amore. Potete fare ciò che volete, ma badate bene: non dovrete mai cogliere i frutti dell'albero che è al centro del lago.

I due si girarono ed Eva esclamò: «Quale albero, mio Dio?»

"Diamine, mi sono dimenticato di disegnarlo!". Elia, con un astuto stratagemma, porse rimedio al malinteso: «Guardate in alto, c'è una maestosa aquila!». I due uomini alzarono la testa il tempo necessario perché Elia disegnasse un albero di melo pieno di frutti al centro del lago.

«Davvero un bell'esemplare di ucc... hey, ecco l'albero!» esclamò Eva per lo stupore.
«Come abbiamo fatto a non vederlo prima?» si domandò Adamo.

«Non è il momento di porsi simili domande Adamo... Ora è tempo per me di lasciarvi, ho delle questioni urgenti da sbrigare. Sapete.... creare mondi, popolarli.... quello che fanno le divinità» Elia stava calcando un po' troppo la mano e doveva andarsene prima di perdere completamente il controllo della situazione.

«Possiamo davvero fare tutto ciò che vogliamo?» chiese Adamo.

«Tutto, tranne cogliere i frutti da quell'albero» rispose Elia.

«Grazie Dio, non ti deluderemo!» esclamò Eva.

Elia salutò nuovamente le sue creature e si allontanò. Quando fu abbastanza lontano, si girò per ammirare nuovamente la sua opera e disse: «Sono veramente soddisfatto, è un capolavoro assoluto! Se fosse stato un quadro, si sarebbe intitolato 'Il Paradiso Terrestre'». Dopo averlo ammirato ancora per qualche secondo, Elia si girò e proseguì verso la sua strada, fischiettando allegramente.

lunedì 19 maggio 2014

Attesa

Veniva sempre in quel parco, Ada, ogni giorno. Una giovane donna che perse suo figlio di soli 4 anni, portatole via da un brutto male. Ogni giorno la donna sedeva lì, su quella panchina, ed attendeva. Attendeva che il figlio potesse sbucare all'improvviso da quella siepe in cui piaceva tanto nascondersi. Oppure che arrivasse correndo dopo aver fatto lo scivolo insieme ai suoi amichetti. O di vederlo andare avanti ed indietro sull'altalena, spinto dal suo sorridente padre. E, come ogni giorno, il marito Aldo all'uscita da lavoro, l'andava a riprendere.

«Michele non tornerà, Ada, devi fartene una ragione» diceva lui ogni volta.

Ma la donna sembrava non ascoltarlo. Rimaneva sempre in silenzio, fissando il vuoto. Solo raramente diceva qualche sporadica frase: «Hai sentito? Mi è sembrato di sentire la sua voce che mi chiamava. Diceva 'Mamma mamma, vieni anche tu sullo scivolo'» oppure «Non senti? Nostro figlio sta piangendo. Sarà caduto mentre giocava con i suoi amichetti?». Ed ogni volta Michele scuoteva al testa, abbracciava sua moglie e la riportava a casa, tra pianti e lacrime. Ogni volta Michele constatava quanto fosse dimagrita sua moglie. Quanto i suoi splendidi capelli a caschetto una volta neri, stessero diventando bianchi. E come i suoi occhi azzurri, un tempo pieni di gioia, ora siano solamente spenti, come un lago di notte. Si stava lasciando andare Ada, sempre di più verso un oblio. La disperazione stava colpendo anche Michele, lui che è sempre stato forte, per se stesso e, soprattutto, per lei. Lui che riusciva sempre a rassicurarla grazie al suo aspetto, con i suoi lunghi capelli castani e i suoi bellissimi occhi verdi. Lui che con le sue braccia forti la stringeva a se e le sussurrava all'orecchio: 'andrà tutto bene'. Ma ora non più. Ora non sapeva più cosa fare.


Dall'altra parte della città, in un'ospedale, Alice era in attesa: stava aspettando che i medici le dessero qualche notizia circa la salute del suo ragazzo Gabriele che soffriva di cuore e aveva urgente bisogno di un trapianto. Purtroppo però, non si riusciva a trovare un donatore. Erano passati quattro giorni ormai, quattro giorni da quando la ragazza aveva salutato Gabriele per l'ultima volta. Da allora poteva vederlo solo attraverso un vetro: vederlo attaccato a quei cavi, immobile, senza alcun segno di vita, la faceva stare male. Non le rimaneva altro che pregare. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Pregava che un donatore si facesse vivo, che arrivasse questo cuore in grado di salvare la vita della persona che amava.


Sull'autostrada, una macchina sfrecciava a tutta velocità. Un uomo al volante, una donna sul sedile del passeggero e sui sedili posteriori, un cucciolo di 4 anni di labrador, sdraiato su dei teli da mare che si godeva il viaggio. Ma la macchina iniziò lentamente a rallentare, accostandosi sulla corsia d'emergenza. L'uomo scese dalla macchina, aprì una delle portiere posteriori e richiamò il cucciolo. Il cane prese a scodinzolare e scese subito dalla macchina, pensando di essere giunti a destinazione e di poter quindi correre liberamente, in qualche parco magari. Ma lo spettacolo che gli si presentava davanti era tutt'altro: macchine che sfrecciavano velocemente vicino a loro, rumori di motori, clacson, smog... non si aspettava proprio una cosa simile. L'uomo portò il cane vicino al guard rail, gli disse di accucciarsi e gli sfilò il collare. Il cane non capiva, ma continuava a scodinzolare. Dopo di ché l'uomo disse 'A cuccia, non ti muovere' e salì nuovamente in macchina mettendo in moto, per poi allontanarsi velocemente. Il cucciolo rimase fermo, immobile, sdraiato sull'asfalto. Smise anche di scodinzolare. Osservava la macchina allontanarsi a grande velocità. Tenne lo sguardo fisso in direzione della macchina, oramai sparita dal suo campo visivo. Ed aspettò. Attese speranzoso il ritorno del suo padrone. Sapeva che sarebbe tornato. Ad ogni macchina che passasse e gli ricordasse quella del suo padrone, lui si alzava sulle quattro zampe ed abbaiava, salvo poi tornare a sdraiarsi non appena la macchina scomparisse all'orizzonte.


Appena fuori città, in un orfanotrofio, Andrea se ne stava sempre in disparte. Era un bel bambino dai capelli ricci e biondi, occhi verdi e guance rosse. Mentre gli altri bambini andavano vestiti tutti eleganti con camicie e pantaloni formali, lui preferiva le t-shirt e dei jeans strappati, si trovava più comodo. 'Non troverai mai una famiglia disposta ad adottarti se ti vesti a quel modo' gli dicevano sempre. E lui soffrira dentro, senza darlo a vedere. Quando arrivava il momento delle visite da parte di famiglie disposte ad adottare qualche bambino, lui era sempre in disparte. Aveva paura che potesse essere giudicato male, di ricevere delle critiche. Ed allora aspettava. Attendeva che si accorgessero di lui e che potesse quindi essere adottato. Attendeva qualcuno che andasse oltre le apparenze, che gli volesse bene per quello che fosse veramente e non per come apparisse. Ma durante i ricevimenti, lui non veniva preso mai in considerazione. I bambini si ammassavano verso le future mamme ed i futuri papà, sfoggiando sorrisi e buone maniere, mentre Andrea se ne stava sempre lì, in quel suo angolo. 'Non verrai mai adottato se te ne stai sempre da solo e con quel muso lungo' gli dicevano sempre. E la sera, quando tutti dormivano, lui piangeva. Piangeva sul cuscino del suo letto, stringendo a se il cane di pezza che si portava sempre dietro, l'unico amico che aveva.


Un giorno, Aldo andò a prendere la moglie al solito parco, accompagnato da una donna.

«Tesoro, vorrei presentarti una persona» disse lui nel modo più dolce e gentile possibile.

Ada alzò lo sguardo ed osservò quella donna: aveva un viso gentile, con dei lineamenti delicati. I capelli neri e mossi che le coprivano parte del viso e due bei occhi neri, la rassicuravano.

«Io sono Giulia, sono un'assistente sociale. Suo marito mi ha raccontato la storia di vostro figlio... mi dispiace veramente tantissimo. Capisco che sia un dolore insostenibile, soprattutto per una madre, ma Ada, lei non deve buttarsi giù, lei deve reagire. Pensi a Michele, sarebbe felice di vederla in questo stato? Perché invece non prova ad andare avanti? Venga nel nostro orfanotrofio, abbiamo molti bambini desiderosi di ricevere l'affetto e l'amore di una famiglia. Non le sto dicendo di dimenticare Michele, assolutamente no. Le dico solo che potrebbe donare il suo, anzi, il vostro amore per un'altra creatura. Sono sicura che Michele sia d'accordo»

Una lacrima scese lungo il viso di Ada, che si alzò e chiese al marito di accompagnarla a questo orfanotrofio.

Lungo l'autostrada che portava all'orfanotrofio, Aldo vide che sull'altra carreggiata si era formato un ingorgo: una macchina aveva perso il controllo ed era andata a sbattere lungo il guard rail. Il conducente era stato sbalzato fuori dal veicolo.

"Che brutta botta....", pensò Aldo.

Arrivati all'orfanotrofio, la coppia andò subito nel cortile dove i bambini erano intenti a giocare. Alla vista della coppia, tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e corsero verso di loro, ridendo dalla gioia. Tutti tranne uno: Andrea rimase sull'altalena, dondolandosi leggermente mentre fissava quella mandria di bambini intenti a fare le 'feste' ai due arrivati. "Sembrano un branco di cuccioli di cane" pensava con una punta di invidia.
Ada era felice di vedere tutti quei bambini gioiosi, ma era ancora titubante.

«Che c'è amore, non sei ancora convinta?» chiese Aldo.

Ada stava per rispondere, quando alzò lo sguardo e vide Andrea che li fissava. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, ma alla donna bastò per capire tutto. Capì che erano simili, che entrambi avevano sofferto e che entrambi erano in attesa di un qualcosa che forse non avrebbero mai più rivisto. Ma che forse, poteva superare. Insieme.
La coppia decise di adottare Andrea. Ada era felice, Aldo non la vedeva così felice da anni ormai.
Durante il viaggio di ritorno in autostrada, Ada e Andrea chiacchieravano allegramente. Ma ad un certo punto, Andrea urlò: «Fermati, ferma la macchina! C'è un cagnolino lì!»
Aldo accostò nella corsia di emergenza e Ada scese dalla macchina per controllare. Un cucciolo di labrador era lì, sul ciglio della strada, al limite della corsia di emergenza, sdraiato sull'asfalto e con lo sguardo fisso nel vuoto. La donna si avvicinò cautamente al cucciolo ed allungò la mano verso il suo musetto. Il cucciolo iniziò ad annusare la mano della donna. Dalla macchina intanto, Andrea si affacciò dal sedile posteriore, guardando la scena attraverso il lunotto. Gli sguardi del bambino e del cucciolo si incrociarono. Quest'ultimo iniziò così a scondinzolare. Leccò la mano della donna e si alzò in piedi, avvicinando il suo muso al viso della donna e cominciare a leccare anch'esso. Aldo, che era sceso dall'auto ed aveva visto la scena, fece cenno di portare il cane in macchina. Lì, Andrea ed il cucciolo fecero conoscenza e la nuova famiglia così costituita fece ritorno a casa.


Alice stava ancora pregando quel giorno. Con le mani tra i suoi lunghi capelli rossi e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi castani, era nella disperazione più totale. Si era stancata di attendere, non ce la faceva più. Ma ecco che un medico le si avvicinò e disse: «signorina, abbiamo ottime notizie: abbiamo un cuore per Gabriele! Lo stiamo portando in sala operatoria, tra qualche ora potrete riabbracciarvi»
Alice si asciugò le lacrime ed alzò lo sguardo, fissò il medico e disse: «Come l'avete trovato?»

«Purtroppo è stata una fortuna nella sfortuna: la macchina di una giovane coppia che stava andando fuori città per le vacanze, ha sbandato improvvisamente mentre si trovava in autostrada. Sbandando si è schiantata contro il guard rail ed il conducente è stato sbalzato fuori dal veicolo, morendo sul colpo. La compagna non ha riportato gravi ferite, è stata ricoverata in questo stesso ospedale»

«Mi dica il numero della sua stanza»

«La 404»


La ragazza si affacciò alla porta della stanza 404 e vide una giovane donna in piedi, davanti alla finestra intenta a fissare il vuoto. Era piena di cerotti e fasciature. Alice entrò con discrezione. La donna, accorgendosi della presenza di Alice, si voltò e le due si fissarono negli occhi. Bastò uno sguardo. Alice scoppiò a piangere ed abbraccio la donna, stringendola forte, senza smettere di pronunciare la parola 'Grazie'. La donna intuì cosa fosse successo, strinse la ragazza a sua volta e disse sottovoce: «Almeno così avrà espiato le sue colpe...»


È così l'attesa: tu sei lì, impotente ed incapace di fare nulla. Sei lì che aspetti che la situazione cambi. A volte però basta farsi forza ed affrontare la situazione per sperare in qualche cambiamento. Altre volte la soluzione arriva così, all'improvviso ed inaspettatamente. Qualunque sia la situazione, una cosa non bisogna mai fare: smettere di sperare. La speranza è quella cosa che ci permette di affrontare e superare l'attesa. Senza la speranza, saremmo perduti.

Perduti nell'attesa, in un limbo senza fine.

sabato 17 maggio 2014

Il Pittore Ambizioso - capitolo 2 - La tavolozza

«Una strega?!». Elia non riusciva a credere a quelle parole. Eppure spiegherebbe il perché gli abitanti fossero spariti di colpo.

«Certo. Non se ne vedono più molte in giro, dopo il periodo della caccia alle streghe, però qualcuna ne è rimasta». La vecchietta iniziò a ridacchiare.

«Perché stai ridendo?» chiese Elia con una punta di curiosità.

«Perché se non ti avessi fermato, te ne saresti andato buttando al vento la tua unica possibilità di ritrovare la passione per la pittura»

«Come fai ad esserne così sicura?»

«Perché ho qui qualcosa per te». La vecchia tirò fuori, da dietro la schiena, una tavolozza. Era di legno, un legno marcio, dalla qualità molto scadente. Aveva chiazze nere un po' ovunque, ma nessun'altra macchia. La cosa era strana visto che la tavolozza sembrava abbastanza vecchia, impossibile che nessuno l'avesse mai utilizzata e che quindi non avesse qualche macchia colorata qua e là.

«Cosa dovrei farmene di quella tavolozza? Ho già la mia, guarda», Elia estrasse dalla sua bisaccia una splendida tavolozza di legno di quercia, perfettamente tenuta e levigata. Sul retro riportava le sue iniziali: E. W. Andava molto fiero di quella tavolozza, modellata da lui stesso usando il legno dell'albero di quercia che cresceva dietro la sua casa.

«Ma questa è speciale» ribattè la strega.

«E cosa avrebbe di così speciale?»

«Non ha bisogno di colori»

«E come dipingerei secondo te?»

«Con la fantasia e l'immaginazione!»

«Va bene che sei una strega, ma forse hai qualche rotella fuori posto»

«Sei ancora scettico vedo... ti propongo uno scambio allora: la mia tavolozza per la tua. Se non dovessi più essere soddisfatto, potrai tornare qui, in questo villaggio, e chiedermi di ridarti indietro la tua. Io non mi muoverò di qui»

Elia ci stava pensando.

«Suvvia, cos'hai da perdere? Non capita tutti i giorni di fare affari con una strega!» esortò la vecchia.

Il pittore si avvicinò alla strega, la fissò negli occhi e disse: «Se non dovessi trovarti quando tornerò, ti darò la caccia anche in capo al mondo e ti costringerò a ridarmi la mia tavolozza. E stai pur certa che se vorrai imbrogliarmi, me ne accorgerò»

«Ti do la mia parola, dovessi bruciare su di un rogo seduta stante!»

I due si strinsero la mano e si scambiarono le tavolozze.

«Un'ultima cosa... guarda dietro di te» disse la vecchia.

Elia si girò, ma non vide nulla.

«Vecchia, ti va di scherz...», una volta rigiratosi, la vecchia era sparita. Sentì di nuovo il chiacchiericcio di sottofondo. La gente era improvvisamente ritornata. Era come se non se ne fosse mai andata.

"Avrò fatto bene a fidarmi di quella strega? E se mi avesse lanciato qualche sortilegio?" si disse tra sé e sé.

Improvvisamente, un bambino che stava camminando con delle stoffe tra le braccia, cadde a terra. Era assetato e respirava affannosamente. Una folla accorse per soccorrerlo. Elia sentì le urla e gli schiamazzi e si avvicinò incuriosito.

«Ha bisogno di acqua. Presto, portate dell'acqua!»
«Non ce n'è più, per oggi l'abbiamo finita! Ci vogliono due ore per arrivare al pozzo, non credo che resisterà!»
«Se solo ci fosse ancora il fiume, a quest'ora avremmo acqua in abbondanza!»

Poco lontano dal villaggio, Elia notò quello che sembrava essere il letto di un fiume, oramai completamente prosciugato. E proprio in quel momento che, istintivamente, afferrò la tavolozza ed un pennello e si allontanò dalla folla, raggiungendo il letto del fiume. Una volta arrivato al suo bordo, passò il pennello sulla tavolozza. Era come in uno stato di trance, nella sua mente c'era un unico pensiero.

"Azzurro"

Diede una pennellata, da un'estremità all'altra del fiume. Subito dopo tornò in se.

"Cosa stavo facendo?" si disse interdetto. Un rumore però lo distolse dai suoi pensieri. Dell'acqua stava confluendo dalla parte in cui aveva iniziato a muovere il pennello, passando per tutto il fiume, fino a perdita d'occhio.

Un abitante che passava di lì per caso iniziò ad urlare: «ACQUA! ACQUA! C'È DELL'ACQUA! SIAMO SALVI, IL FIUME È DI NUOVO PIENO D'ACQUA!»

La gente del villaggio accorse in massa per abbeverarsi e salvare così quel bambino. Era un tripudio di gioia: gente nuda che si faceva un bel bagno, bambini che giocavano con l'acqua, contadini che irrigavano i loro campi, donne che lavavano i propri vestiti.

Elia era incredulo a ciò che stava osservando. Era stato davvero lui a fare ciò? Che stregoneria era mai questa? Però quella vista lo rendeva felice. Era come ammirare un bellissimo dipinto.

"Come ammirare.... un dipinto? MA CERTO!". Elia aveva finalmente capito. Sapeva cosa doveva fare. Ripose la tavolozza ed il pennello nella bisaccia e continuò il suo viaggio, lasciandosi alle spalle quella gente in festa.

venerdì 16 maggio 2014

I Tre Demoni Bianchi (HDRemix) - capitolo 1 - Le Tre Sorelle

CAPITOLO 1
LE TRE SORELLE

C'erano un tempo, in una terra lontana, tre sorelle: forti come demoni e belle come angeli, indossavano delle eleganti armature bianco perla. Erano tre mercenarie, le più temibili mercenarie che il continente di Gatam avesse mai conosciuto. Erano i Tre Demoni Bianchi.
Titania, la sorella maggiore, abile ed impavida guerriera. I lunghi capelli rossi e lisci che le scivolavano lungo la schiena, gli occhi rossi, pieni di rabbia, un viso dai lineamenti forti e decisi ed un corpo grande, possente, ma comunque femminile, di una bella donna, in grado di sopportare il peso di quell'imponente armatura. Un'armatura che nemmeno i più forti cavalieri del regno riuscirebbero a trasportare, adornata da simboli e ghirigori vari che ne aumentavano la bellezza e con, sulla schiena, l'immagine di un falco. Nessun graffio o scheggiatura. Questo faceva capire quanto temibile potesse essere Titania.
Leonora, la secondogenita, abile nelle arti magiche. Portava dei capelli a caschetto viola e un paio di occhiali dalle rotondi lenti che risaltavano i suoi grandi e timorosi occhi neri. Aveva un bellissimo fisico, il più bello tra le tre sorelle. Ovunque andasse, incrociava sempre gli sguardi della gente che la osservava. Sguardi pieni di desiderio per gli uomini e di invidia per le donne. La sua armatura era più aggraziata rispetto a quella di Titania, avendo anche un gonnellino per facilitare i movimenti. Sulla sua armatura, erano riportate diverse rune magiche e, sulla schiena, l'immagine di un gufo.
Kate, la più piccola delle sorelle, non era seconda a nessuno nell'utilizzo dell'arco. Aveva dei bellissimi capelli dorati, abbastanza corti ed ondulati. I suoi occhi azzurri invece erano cristallini ed innocenti, proprio come quelli di un bambino. E pieni di speranza, come ogni giovane. Aveva anche due belle e soffici guance con sfumature di rosso. Uno dei passatempi preferiti dalle sorelle era quello di strapazzarle. Non era molto alta, essendo ancora una ragazzina, però era agile e scattante. La sua armatura era la più leggera delle tre ed anche quella con meno accessori. D'altronde, per un cecchino non è necessario essere protetti in ogni punto. Sulla schiena, l'armatura riportava l'immagine di un'aquila.

Il loro nome era temuto su tutto il continente. Al solo udirlo, la gente scappava o tremava in preda al terrore. Da brave mercenarie quali erano, dovevano fare ciò che gli veniva ordinato: uccisioni, rapine, trasporto di merci preziose, spedizioni... ogni cosa a loro andava bene, purché ben pagata. Non avevano regole... eccetto una: nessun legame affettivo. Non potevano permettersi nessuna debolezza data dal sentimentalismo. Come mercenarie, il loro compito era di terminare la missione assegnatagli con successo, senza esitazione. Tuttavia, tra di loro c'era un legame indissolubile: tutte avrebbero dato la vita pur di salvare un'altra del gruppo in difficoltà. Titania in particolare, essendo la maggiore, era molto protettiva nei confronti delle sorelle.

Un giorno, le tre sorelle furono inviate ad uccidere un drago per conto del re di Garland, uno dei più grandi feudi di tutto il continente di Gatam. La missione durò diversi giorni, ma alla fine le ragazze riuscirono ad avere la meglio su quel drago. Come prova della riuscita della missione, Titania decise di riportare la testa del drago al castello di Garland.
Giunsero infine davanti alle porte di ingresso della città, sporche e puzzolenti, con una testa di drago in putrefazione e stanche per l'estenuante viaggio intrapreso.

«Bene, siamo finalmente giunte a Garland! Ora non mi resta che andare a consegnare la testa di questo drago al re e ricevere la nostra meritata ricompensa... forse chiederò anche un piccolo extra, non è stata proprio una passeggiata sconfiggere 'sto bestione» disse Titania trionfante.

«Hai ragione sorellona, per un attimo me la son vista veramente brutta... per fortuna che avevo da poco appreso quell'incantesimo temporale per rallentare i nemici, altrimenti mi avrebbe fatta a fettine!» replicò Leonora.

«In quel caso ci avrei pensato io, con una freccia dritta nell'occhio destro. Però mi domando... quand'è che hai imparato quell'incantesimo?» domandò curiosamente Kate.

«Oh, è grazie a questo libro che ho 'preso in prestito' dagli archivi segreti della biblioteca reale. Ahahah!»

«E brava la mia sorellina! Bene, mentre io vado a consegnare questa testa, tu Leonora vai a cercare una locanda, mentre tu Kate vai a comprare qualcosa da mangiare per cena. Hai ancora qualche soldo, vero?»

«Certo sorellona! Solo che non capisco come mai non ci facciamo ospitare dal re in persona... insomma, alla fine gli abbiamo fatto un grosso favore ed il minimo che potrebbe fare sarebbe ospitarci per la notte!»

«Abbiamo già affrontato questo discorso Kate... siamo delle mercenarie e non siamo viste di buon occhio. Oggi abbiamo aiutato il re di questo feudo, domani potremmo assassinarlo per ordine di qualcun altro. Dormire nelle stanze del castello sarebbe troppo pericoloso, rischieremo di venire uccise dalle guardie reali e non voglio assolutamente correre questo rischio» sentenziò Titania.

«Ho capito... beh, allora vado a comprare qualcosa per cena. Cosa preferite, carne o pesce?»

«Carne!»
«Pesce!»

«... arriverà il giorno in cui riuscirete a mettervi d'accordo su cosa mangiare?» disse sconsolata Kate.

«Oggi si mangia carne, devo recuperare le forze. Mi son portata questa testa di drago dalla grotta in cui l'abbiamo scovato, fino a qui. Avrò diritto a scegliere cosa mangiare per cena?» disse autorevolmente Titania.

«Ed io allora, che ve l'ho immobilizzato e gli ho dato il colpo di grazia con quella lastra di ghiaccio?» replicò polemicamente Leonora.

«Ma veramente l'ho ucciso io con una freccia nel cuore!» disse stizzita Kate.

«RAGAZZE! Io sono la sorella maggiore, io decido: oggi si mangia carne» tagliò corto Titania.

«Non potrai utilizzare questa scusa per sempre!» si lamentò Leonora.

«Sì invece: sono e resterò sempre la sorella maggiore, ahahahah!»

«... imparerò un incantesimo per invecchiarmi ed allora sarò io la sorella maggiore!»

«... forse è meglio muoversi, si sta facendo buio» disse Kate per chiudere la discussione.

«Hai ragione. Bene ragazze, ci vediamo nella piazza centrale tra due ore. Siate puntuali»

«Quanto vorrei che quella testa ti mordesse», bisbigliò Leonora.

«GUARDA CHE TI HO SENTITA!», urlò Titania in lontananza.

Benché fosse uno dei feudi più grandi ed importanti di tutto il continente di Gatam, Garland si presentava come un tranquillo villaggio rurale, composto da un mercato e poche attività commerciali. Dalla piazza, subito dopo l'ingresso principale, si dipanavano altre tre vie: quella a nord puntava al quartiere residenziale, dove vi erano le abitazioni degli abitanti ed il castello del re. Mentre Titania stava percorrendo quella via, gli sguardi degli abitanti si posavano sull'enorme testa di drago che la ragazza stava trascinando, macchiando la strada ciottolosa di pezzi di scaglie di drago. Quella ad ovest puntava al mercato, dove si era diretta Kate, mentre quella ad est portava al quartiere adibito al ristoro, pieno di locande e stalle. Era qui che Leonora doveva trovare un luogo dove passare la notte.

"Se non riuscissi a trovare una locanda dove passare la notte e dovessimo accontentarci di una stalla in cui dormire, è la volta buona che Titania mi staccherà la testa" pensò timorosamente Leonora.

Kate stava girando per le varie bancarelle del mercato, in cerca di carne di qualità. Purtroppo si era fatto tardi, il sole stava quasi per tramontare e la carne migliore era già stata acquistata. Ma Kate non demorse e continuò a cercare. Dopo aver girovagato un po', notò una bancarella semi nascosta in un viottolo. Sul bancone c'era carne di tutti i tipi: maiale, manzo, vitello e vari volatili. È lì che vide le più belle bistecche di cinghiale che avesse mai visto in vita sua.

«Bistecche di cinghiale! Titania sarà contentissima, è il suo piatto preferito» disse entusiasta. Poi, rivolgendosi all'anziano uomo dietro al bancone, disse: «Mi scusi, quanto vengono queste bistecche?»

«Il cinghiale è un animale abbastanza raro da queste parti piccola... sicura di avere abbastanza soldi?» chiese dubbioso il vecchio.

«Certo che sì! Per i mercenari non c'è prezzo che non si possa pagare»

L'uomo scrutò meglio la ragazza ed esclamò: «Perbacco, sei un Demone Bianco! Perdona questo povero vecchio, purtroppo la mia vista non è più quella di una volta...»

«Lei sai chi sono?»

«Solo un pazzo o un cieco non saprebbe chi siano i tre Demoni Bianchi! D'altronde, quell'armatura bianca non da luogo a dubbi... e siccome stavo facendo il madornale errore di scambiarti per una normale ragazzina, ti farò un 'piccolo' sconto: solo una moneta d'argento a bistecca! Normalmente ne costerebbero cinque, ma non posso far pagare così tanto ad una così abile assas... ehm, volevo dire, ad una così graziosa ragazza!». Il vecchio era visibilmente intimorito.

«Non so come ringraziarla! Allora ne prendo sei, la mia sorellona ha un appetito da leone»

Il vecchio cominciò a tremare. "Si starà riferendo al 'Demone Possente, Titania la Sterminatrice'... spero che la carne sia di suo gradimento... non voglio morire....", pensò tra sé e sé.

«Allora la ringrazio! Spero che a mia sorella piaccia questa carne»

Il vecchio urlò e scappò in preda al panico.

«Cosa avrò mai detto di male?» disse Kate. Un piccolo sorriso comparve sul suo viso.

Il sole era ormai completamente calato. La ragazza mise la carne nella sua borsa e si incamminò per raggiungere il luogo dell'appuntamento. Appena uscita dal vicolo però, si scontrò con qualcuno. L'urto la fece sbalzare all'indietro, facendola cadere a terra insieme alla borsa contenente le bistecche.

«Ti sei fatta male?», disse cordialmente una voce.

«Ai ai... ma vuoi guardare dove vai?! Forse non ti è chiaro chi io sia, perché altrim...», la ragazza non riuscì più a pronunciare una parola. Davanti a lei c'era un ragazzo alto, bello e distinto, benché fosse vestito solamente di stracci. Aveva dei lunghi capelli castani che gli si posavano dolcemente sulle spalle e due grandi occhi azzurri che rapirono immediatamente la ragazza. Un bel mento marcato chiudeva il quadro di quello che sembrava un viso scolpito di una statua.

«Perdonami, ero sovrappensiero e non guardavo dove andassi» disse il ragazzo.

«...eh? Come? Cosa? Chi sei tu?» Kate era ancora confusa.

Il ragazzo raccolse la borsa da terra e la porse a Kate: «Mi chiamo Marcus, piacere di conoscerti Kate!»

«Ah, p-piacer.... un momento, come fai a conoscere il mio nome?»

«Ma vuoi scherzare? Tutti in tutto il continente conoscono il leggendario trio dei Demoni Bianchi: il Demone Possente, Titania la Sterminatrice. Il Demone Avvenente, Leonora l'Ancestrale. Ed infine tu, il Demone Silente, Kate l'Eterea. Si può dire che io sia un vostro grande ammiratore, però non pensavo proprio avrei avuto la fortuna di imbattermi in una di voi, specialmente tu! Dovresti essere quella che non si fa sorprendere, ma che anzi, sorprende sempre la sua vittima e la fredda con il suo poderoso arco! Non è così?»

«S-sì che è così! Ero semplicemente sovrappensiero, tutto qui!», disse con una punta di rabbia, proseguendo con: «Grazie comunque per avermi raccolto la borsa»

«È così che fa un vero gentiluomo» il ragazzo porse gentilmente la borsa a Kate. «Ora però devo andare, mi ha fatto veramente piacere conoscerti! Spero di incontrarti ancora in futuro»

«A-anche per me... M-M-Marcus!», le guance di Kate iniziarono ad arrossire più del solito.

Il ragazzo sorrise dolcemente e se ne andò. Kate rimase immobile per qualche minuto a fissare il vuoto. Una bambina le si avvicinò e le disse: «Perché stai lì ferma immobile? Non ti senti bene? Sei tutta rossa in viso»

Una donna corse ad afferrare la bambina e la portò via da lì: «Maria, ma sei pazza? Quella è una dei Tre Demoni Bianchi! Avrebbe potuto ucciderti!»

Kate, che aveva sentito tutto, tornò in se e, chinando la testa, si avviò verso la piazza centrale.


Giunse la sera e le ragazze erano alla locanda 'Il Drago Imperiale'. Una locanda tranquilla, con pochi tavoli per mangiare al piano terra e tre camere da letto al piano superiore. Nessun bardo ad allietare la gente con le sue canzoni. Titania odiava i bardi e Leonora si assicurò che non ve ne fossero quella sera. L'insegna raffigurava un drago nero con una corona in testa ed una lancia in una zampa, con le ali spiegate ed in posizione eretta. 

«Non potevi scegliere un'altra locanda? Questo nome mi disgusta» si lamentò Titania.

«Oh no, mi dispiace tanto, io non sapevo che i draghi ti disturbassero!» disse ridacchiando Leonora.

«Non sei simpatica, sapevi BENISSIMO quanto odiassi i draghi, mi son lamentata per tutta la missione. Non l'avrei accettata se il compenso non fosse stato lauto»

«Sarà.... eheh» Leonora si divertiva a punzecchiare Titania.

«Dannata sfrontata, osi prenderti gioco di me così apertamente... sai che potrei fartela pagare?»

«Dai, quando vuoi!»

«NON OSARE SFIDARMI!» urlò Titania, battendo un colpo sul tavolo.

Il silenzio avvolse la locanda. Tutti i presenti smisero di mangiare e di bere per osservare cosa stesse succedendo. La quiete fu rotta dall'arrivo del cameriere: «Ecco a voi le vostre bistecche, cotte a puntino come ci avete ordinato... spero siano di vostro gradimento»

«Era ora, stavo morendo di fame! E voi tutti, continuate a mangiare!», tuonò la ragazza, facendo voltare immediatamente tutti i presenti che ripresero a mangiare.

«E brava Kate, questa vota hai fatto proprio un colpaccio! Era da tanto che non mangiavo delle bistecche di cinghiale. Avrei preferito del pesce spada certo, ma mi accontento» disse Leonora con l'acquolina alla bocca.

«Sai che non ho avuto scelta...» rispose sconsolata Kate. «Beh ragazze, buon appetito!»

Kate stava per avventarsi sulla bistecca, quando Titania si alzò in piedi e, con un rapido colpo, fece cadere la bistecca a terra con tutto il piatto che si frantumò in mille pezzi provocando un forte rumore. Il silenzio calò di nuovo, ma questa volta nessuno ebbe il coraggio di girarsi. Il cameriere accorse subito al tavolo delle tre ragazze e chiese timoroso: «C...c'è f-forse qualcosa che non va?»

«Queste bistecche... assaggiane una» disse Titania fissando negli occhi il cameriere. Uno sguardo quasi demoniaco fece tremare di paura il cameriere. Malgrado ciò, acconsentì senza problemi ad assaggiare un pezzo della bistecca di Leonora. Immediatamente la sua bocca si riempì di bava e collassò a terra in preda agli spasmi, finché non rimase immobile, senza più respirare. Qualche persona urlò, altre svennero, altre ancora fuggirono dal locale in preda alla paura. Al suono di quelle grida, i cuochi uscirono dalla cucina e si precipitarono da Titania, seguiti dal padrone della locanda.

«Cosa sta succedendo qui?» disse il locandiere.

«Uno dei vostri cuochi ha messo del veleno nelle nostre bistecche. E mi ero pure raccomandata di non fare scherzetti, che tanto me ne sarei accorta!» disse in modo autoritario Titania.

«Ma veramente noi non abbiamo messo nessun veleno! Figuriamoci se siamo così pazzi da sfidare il temibile trio dei Demoni Bianchi!» disse uno dei cuochi.

«Ed allora chi è stato? Sicuramente non il cameriere visto che ha assaggiato la pietanza senza batter ciglio. Se avesse saputo che fosse avvelenata, avrebbe quantomeno opposto resistenza!»

«Non può essere stata una di voi invece?»
Dalla cucina uscì un altro cuoco, completamente vestito di nero e con una mannaia in mano.

«E questo da dove esce fuori?» chiese ironicamente Leonora, continuando con: «Perché mai avremmo dovuto avvelenare la nostra stessa cena?»

«Non ne ho la più pallida idea. So solo che ho sentito delle urla e sono uscito dalla cucina con questa mannaia. Se cercavate una scusa per creare problemi, l'avete trovata»

Titania fece uno scatto verso il cuoco e gli assestò un sonoro pugno sul naso, fracassandoglielo all'istante. Il cuoco finì a terra, senza avere il tempo di reagire in alcun modo. «Io non ho bisogno di scuse per creare problemi. Se solo volessi, potrei radere al suolo questa locanda! Credi di poterci minacciare con una stupida mannaia?»

Il locandiere intervenì per mettere fine alla discussione: «Forse dovremmo tutti calmarci.... Mi dispiace in primo luogo per l'accaduto e per il comportamento del mio subordinato. Le assicuro che non accadrà più. In secondo luogo, mi permetta di offrirvi il miglior pasto e la migliore stanza che la nostra locanda dispone, il tutto gratuitamente»

«Avete capito finalmente con chi avete a che fare. Bravo locandiere, sei un uomo saggio! Forza ragazze, rimettiamoci a tavola» disse Leonora.

«NO», tuonò Titania, «Noi non resteremo qui un minuto di più. Hanno provato ad avvelenarci e ci hanno accusato di essere noi le responsabili. Decliniamo l'offerta e ce ne andiamo. A mai più rivederci»

«Ma Titania... dove mai andr...» Leonora non riuscì a finire la frase. Lo sguardo di Titania era quello di un demone pieno di rabbia. La ragazza sapeva che quando era in quello stato non era il caso di discuterci, quindi si zittì e chinò la testa. Le tre ragazze si allontanarono, mentre un forte chiacchiericcio cominciò ad innalzarsi per tutta la locanda.

«Quella è una pazza, mi ha rotto il naso!» disse il cuoco, alzandosi e raccogliendo la mannaia da terra

«Ma hai una minima idea di chi fossero quelle ragazze?» gli domandò il locandiere.

«No... ma se le ribecco, non saranno così fortunate!» disse il cuoco mentre faceva oscillare la mannaia.

«Sei così desideroso di morire? Quelle tre ragazze sono i Tre Demoni Bianchi! Possibile che tu non le abbia mai neanche sentite nominare?»

Il cuoco divenne bianco in volto e cominciò a sudare freddo. La mannaia gli cadde dalle mani, conficcandosi a terra. Non aveva mai visto di persona i Demoni Bianchi, ma ne aveva sempre sentito parlare. Storie raccapriccianti.

«Ora capisci? Mi domando chi sia il pazzo ad aver provato ad avvelenarle.... mai e dico mai mettersi contro i tre Demoni Bianchi» disse il locandiere scuotendo la testa.


Le tre ragazze si allontanarono dalle mura della città, cacciarono qualche cervo e si accamparono intorno ad un fuoco, mangiando le loro prede. Titania aveva sbollito la rabbia, la caccia l'aveva sfogata per bene.

«Titania, perché non sei voluta rimanere? Avremmo avuto un pasto da re ed una lussuosa camera, piuttosto che dormire per terra e mangiare carne di cervo!» si lamentò Leonora

«Non ti piace il cervo?» disse sarcasticamente Titania

«Non è questo il punto! Il punto è che...»

«Il punto è che non potevamo rimanere lì» tagliò corto Titania.

Calò un imbarazzante silenzio. La sorella maggiore proseguì: «Avevamo attirato troppo l'attenzione, la gente avrebbe saputo che avremmo pernottato lì e quindi avremmo potuto correre parecchi rischi. Già questa storia dell'avvelenamento non mi piace proprio. Kate, domani dovrai portarmi nel luogo dove hai acquistato quella carne»

«Stai sospettando del venditore?»

«Sì, sospetto che lui ti abbia riconosciuta e che quindi abbia provato a fregarti, mettendo del veleno nella carne»

Kate rispose contrariata: «Sai benissimo che non è così, che me ne sarei accorta. Non sono così stupida, so riconoscere se c'è del veleno su della carne cruda! Alla locanda c'erano troppe spezie e non ho potuto accorgermene... per fortuna che ci hai pensato tu. Ad ogni modo, escludo nella maniera più assoluta che possa essere stato il vecchio che me l'ha venduta: inizialmente non si era accorto chi fossi, quando però mi ha guardata meglio e se n'è accorto, il suo atteggiamento è cambiato; provava paura, leggevo il terrore nei suoi occhi. Mi ha perfino scontato il prezzo della carne, un ottimo scontro aggiungerei! E comunque sono stata attenta, non ha fatto movimenti strani e sono sicura di aver controllato la carne quando me l'ha data»

«Ed allora tutto questo rimane un bel mistero.... oh beh, avremmo tempo domani mattina per approfondire l'argomento. Sarà meglio andare a dormire ora»

«È stata una giornata davvero snervante, sono esausta.... Beh buonanotte ragazze» disse sbadigliando Leonora

«Buonanotte» rispose freddamente Titania.

Con un veloce colpo di mano, il Demone Possente generò uno spostamento d'aria talmente forte che spense il fuoco. Non c'era luna quella sera, così l'oscurità le avvolse all'improvviso.

«Buonanotte....». Kate era irrequieta. Non faceva altro che pensare a quel ragazzo.

"Marcus.... possibile che sia stato lui? Ma no, che vado a pensare... è solo un sempliciotto. Un bel sempliciotto... ma cosa sto pensando?! Forse è il caso che vada a dormire....", dopo questo pensiero, la ragazza chiuse gli occhi e si addormentò.