sabato 15 marzo 2014

Bus to Nowhere

«D-dove mi trovo? Che posto è questo?»

Colin si risvegliò in mezzo a dell'erbaccia, sul ciglio di una strada asfaltata. Il terreno era tutto fangoso a causa della pioggia che cadeva incessantemente. La luna illuminava debolmente l'ambiente circostante: oltre a quelle poche erbacce e a qualche cespuglio, non vi era traccia di vegetazione alcuna: nessun albero, nessun fiore, nessuna pianta. Dall'altra parte, invece, nemmeno l'ombra di una macchina. Completamente deserto. Colin si trovava spaesato e visibilmente impaurito.

"Perché sono qui? Come ci sono arrivato? E come faccio a tornare a casa?"

Improvvisamente nella testa del ragazzo cominciarono ad affiorare dei ricordi dolorosi: una ragazza, ulra, disperazione, pianti, allontanamento, rabbia, depressione, pasticche.....

"No, non voglio tornare a casa... non voglio. La mia vita oramai non ha più senso..."

Ecco che improvvisamente si udì un rumore in lontananza provenire dalla strada. Un paio di luci si stavano avvicinando velocemente. Pochi secondi dopo, un grande autobus grigio si fermò accanto al ragazzo, benché non ci fosse nessuna fermata nelle vicinanze. La destinazione recitava "NOWHERE". Colin scrutò l'autista: era alto e magro, molto magro. Poteva scorgerne l'eccessiva magrezza dai polsi cadaverici. Aveva la pelle di un bianco pallido, le guance infossate, lunghe occhiaie, pochi denti e gli occhi spenti. Sembrava uno scheletro senza vita. Colin era lì che lo fissava senza proferire parola, alché il conducente si girò verso di lui dicendo: «Ragazzo che fai: sali o no?». Quegli occhi spenti, senza vita, fecero titubare il ragazzo. Superata la paura iniziale però, Colin trovò la forza per domandare: «Dov'è diretto questo autobus?»

«Non sai leggere? Quest'autobus non è diretto da nessuna parte. Vuoi salire o no?»

Colin non era ancora del tutto convinto. Allungò lo sguardo per vedere se ci fosse qualcun altro su quell'autobus. Vide un signore di mezza età in piedi ed una signora seduta, intenta a piangere. Vedendo quindi altre persone, decise di salire. Una volta salito, le porte dietro di lui si richiusero e l'autobus ripartì per quella strada buia e desolata, mentre la pioggia non accennava a diminuire.

Una volta sopra il mezzo, il ragazzo poté notare che c'erano più di quelle due persone che aveva notato. In totale erano in 5: la signora che piange seduta, il signore di mezza età che sospira in piedi, una bambina per terra che gioca con una bambola di pezza senza un braccio ed una gamba, una giovane ragazza seduta, intenta a guardare fuori dal finestrino, ed infine un distinto uomo in giacca e cravatta, in piedi in fondo all'autobus.

«Un'altra anima senza uno scopo. Benvenuto!» esordì l'uomo in giacca e cravatta.

«Chi sei tu?» chiese Colin.

«Io sono il controllore di questo autobus. Sicuramente sarai perplesso e ti starai domandando 'ma dove sono capitato?', giusto?»

«Beh sì, qualche domanda me la sto facendo...»

«Ebbene, lascia che ti spieghi! Questo è un autobus che ospita passeggeri che non hanno più un motivo per vivere. Ognuno di loro ha una motivazione per la quale non trovano più la forza di vivere e quindi salgono a bordo, su quest'autobus senza una destinazione. Ovviamente sono liberi di scendere quando vogliono, ma nessuno ha mai trovato la forza necessaria per questo passo. E tu? Qual è il tuo problema? Perché hai perso la voglia di vivere?»

I ricordi dolorosi di prima si riproposero violentemente nella testa del ragazzo. «Non sono affari tuoi» tagliò corto Colin.

«Come vuoi.... beh, buona permanenza! Accomodati pure dove meglio credi»

Il ragazzo era curioso di sapere le storie dei vari passeggeri. Il primo da cui andò, fu il signore di mezza età. Era alto e magro, come se fosse malnutrito. Pochi capelli in testa e lunghe occhiaie sotto i suoi occhi castani. Indossava un completo elegante ed aveva una valigetta vicino alla sua gamba destra.

«Salve! Posso domandarle perché lei è qui?»

Il signore piegò lievemente la testa verso di lui e, prendendo un profondo respiro, cominciò a raccontare: «Mi chiamo Michael, sono un uomo d'affari. Ho una bellissima moglie e due figli stupendi di 4 e 9 anni. Ho una bella casa, una bella macchina, dei bei vestiti... o sarebbe meglio dire avevo. Pian piano la società che gestivo ha cominciato ad accumulare debiti su debiti. Per pagarli, ho dovuto vendere tutto quello che avevo, ma non bastava mai.... Non riuscivamo ad arrivare a fine mese, litigavo continuamente con mia moglie, i miei figli indossavano stracci e non potevano permettersi nulla, nemmeno un gioco o uno sfizio. Ero stanco di tutto quello.... stanco. Così un giorno, decisi di farla finita. Con la mia assicurazione, loro avrebbero ricevuto una grossa somma di denaro che li avrebbe aiutati a ricominciare una vita più che dignitosa. Aspettai di rimanere da solo a casa, andai in cucina e legai un'estremita di una corda al soffitto. L'altra me la legai intorno al collo, ben stretta. Saltai dalla sedia e.... il buio. Mi risvegliai ai lati di una strada. Questo autobus passò ed io ci salii. Sono 2 anni che sono qui sopra oramai. Non so se sia morto o meno, so solo che non ho il coraggio di scendere, di andare dalla mia famiglia e guardarli ancora negli occhi.... spero solo che stiano bene»

«Capisco.... mi dispiace per ciò che ti è successo....»

Il signore sbuffò e tornò a fissare il vuoto. Colin decise quindi di proseguire, andando dalla signora intenta a piangere. Era una signora grassoccia, con lunghi capelli ricci biondo cenere. Il trucco che aveva in faccia le stava colando a causa delle lacrime. Il rossetto era quasi del tutto tolto, finito sul fazzoletto di stoffa che teneva in mano. Indossava un abito semplice da casalinga.

«Scusi, posso chiederle cos'ha? Perché sta piangendo?»

La signora si asciugò le lacrime col fazzoletto di stoffa, guardò il ragazzo e disse singhiozzando: «Cosa ci fa un ragazzo come te su quest'autobus?»

Colin stava per dire qualcosa, ma la signora lo interruppe: «Quanti anni hai? Venti? Venticinque? La mia Maggy avrebbe la tua stessa età sai....» e ricominciò a piangere.

«Maggy?» chiese il ragazzo.

«Sì, Maggy.... era mia figlia. Un maledetto incidente stradale me l'ha portata via 6 anni fa. Appena ho saputo la notizia, sono letteralmente impazzita. La depressione mi lacerava giorno dopo giorno, finché non ho deciso di prendere dei sonniferi per calmarmi.... evidentemente ne ho presi fin troppi. Mi sono risvegliata sul ciglio di una strada e quest'autobus mi ha raccolta. Da 6 anni sono qui sopra e non faccio altro che piangere. Non ho il coraggio di tornare da mio marito, di ricominciare....». La donna riprese a piangere. Colin non disse nulla ed andò dalla bambina. Era una bella bimba, con un elegante abito rosa e lunghi capelli castani. Il suo grazioso viso mostrava due grandi occhi verdi e delle belle guance rosse. Era seduta a terra, intenta a giocare con la sua bambola di pezza.

«Ciao! Che stai facendo?» chiese Colin.

«Sto giocando con la mia bambola... o con quello che ne è rimasto» rispose la bambina senza distogliere lo sguardo dalla bambola.

«Lo vedo... ma come mai sei qui?»

«Non lo so. L'ultima cosa che ricordo è che stavo giocando col mio cane Spike nel giardino di casa. Per sbaglio ho lanciato la palla troppo forte ed è andata in mezzo alla strada. Spike la stava rincorrendo.... io non volevo che si facesse male e sono corsa subito a riprenderlo. Poi, un rumore straziante di frenata.... un clacson che suona incessantemente..... la paura sale. Vedo Spike che viene colpito. Mi metto ad urlare, continuando a correre. Lascio cadere la mia bambola. Un'altra frenata. Mi giro e.... buio. Mi sono risvegliata tra dei cespugli, con la mia bambola mezza rotta in mano. Ho aspettato un po' e subito è apparso questo autobus. Non sapevo dove andare e sono salita. Non ricordo da quanto tempo sia qui sopra.... so solo che.... mi manca tanto il mio cagnolino.... Spike... dove sei....». La bambinia iniziò a singhiozzare. Colin tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, lo porse alla bambina e passò oltre.

Rimaneva solamente la ragazza che guardava fuori dal finestrino. Era completamente priva di capelli, aveva la pelle rovinata e delle grandi occhiaie sotto i suoi bellissimi occhi azzurri. Colin si sedette vicino a lei e stava per rivolgerle la parola, quando la ragazza disse: «Sono malata di cancro. All'ultimo stadio. La chemio non è servita a nulla, se non a farmi perdere i capelli e rovinare il mio aspetto. Quando i medici hanno detto che non c'era più nulla da fare, sono scappata. Scappata dalla mia famiglia, scappata dai miei amici, scappata dal mio ragazzo.... non so nemmeno se sanno che sono spacciata oramai. Mi sono nascosta in un vicolo. Avevo una lametta con me....». La ragazza mostrò i polsi. Entrambi presentavano dei tagli piuttosto profondi. «Sembra però che non abbia funzionato. Mi sono risvegliata su del terriccio, vicino ad una strada, quando è passato questo autobus. Da 2 settimane sono qui sopra, aspettando la fine e guardando fuori dal finestrino. Sempre e solo il vuoto.... come quello che ho dentro. Perché la vita deve essere così ingiusta?»

Colin non sapeva cosa dire.

«E tu? Perché sei qui? Non mi sembra tu abbia qualche problema di salute. Hai per caso perso una persona a te cara?»

Il ragazzo ripensò a ciò che successe negli ultimi giorni. Le litigate che ebbe con la sua ragazza. La decisione di lei di farla finita e lasciarsi. Il suo non essere d'accordo con quella scelta. Ancora litigate. Pianti. Rabbia. Dirsi addio. Non accettare la cosa. Disperarsi. Fino ad arrivare a prendere delle pastiglie. Troppe pastiglie.

"Ma cosa sto facendo?". Colin si alzò, andò dal controllore e gli disse: «fermi subito l'autobus. Voglio scendere»

«Senti senti. E come mai questa scelta, ragazzo?»

«Ho capito di essere un idiota. Ci sono persone che hanno problemi seri, che soffrono per motivi ben più gravi dei miei, che hanno veramente perso tutto ciò che avevano. Poi ci sono io, che sono solamente un venticinquenne immaturo che appena gli si presenta un problema, all'apparenza insormontabile, decide di fuggire, disperandosi. Non voglio più comportarmi così. Voglio affrontare la vita e cercare di riuscire a farcela, malgrado le difficoltà. Voglio vivere! Anche per rispetto di queste persone. Voglio andare avanti anche per loro. Quindi la prego, fermi il bus». Colin era fermamente convinto. I suoi occhi brillavano di volontà e voglia di vivere.

L'uomo lo stava fissando. Abbassò lo sguardo e, con un sorrisetto, disse: «Ferma il bus». L'autista fermò delicatamente l'autobus. Colin diede un ultimo sguardo a quelle persone, salutandole con un cenno della testa e scese dal mezzo. Mentre stava scendendo, un ragazzo con le stampelle, senza una gamba e con una grave infezione al viso, era sul ciglio della strada. Colin lo guardò e non poté provare nient'altro che pena. Quel ragazzo salì sull'autobus che poi sparì nel buio della notte.

Colin allora iniziò a camminare, verso l'ignoto. L'unica cosa che poteva guidarlo... era una piccola luce all'orizzonte. Non era la luce della luna e nemmeno quella del sole. Era come una minuscola lucciola che se ne stava ferma in un punto. Colin la stava pian piano raggiungendo, passo dopo passo....


Il reparto di terapia intensiva del Lenox Hill Hospital di New York era sempre pieno di gente, un via vai continuo di medici e pazienti. Il Dr. Matt uscì dal reparto, visibilmente agitato. Stava cercando i signori Wilson, doveva parlargli.
Il signore e la signora Wilson erano nella sala d'attesa, seduti vicini, stringendosi le mani a vicenda. Erano tesi, molto tesi. La signora era sul punto di piangere. Quando videro il Dr. Matt, corsero verso di lui con la speranza negli occhi.

«Allora dottore, ci dica... ci sono novità?»

Il Dr. Matt riprese fiato per la corsa fatta per arrivare fin lì. Guardò la coppia e, sorridendo, disse: «Vostro figlio è uscito dal coma!»

Nessun commento:

Posta un commento