mercoledì 23 aprile 2014

Divertimento

Era lì, in quel parco, che Eugenio era solito andare. Lui, uomo sulla cinquantina, capello bianco e lungo, folti baffi e barba trasandata. I suoi occhi verdi erano spenti, assenti. Le sue occhiaie facevano notare quanto stanco fosse. Stanco di tutto. E andava lì, Eugenio, in quel parco, per distrarsi e fuggire per un attimo dalla realtà che lo circondava. Si sedeva sempre su quella panchina, storica amica che lo ha accompagnato in numerose avventure: la prima volta che si fece male, il primo bacio, la prima sbronza... Lui si sedeva lì, con il suo giornale che sfogliava raramente, e si guardava intorno. A lui piaceva guardare i bambini mentre giocavano. Capitava a volte che venisse scambiato per un maniaco, importunato anche dalla polizia a causa di alcune segnalazioni. Ovviamente non vi furono mai implicazioni, visto che lui rimaneva semplicemente seduto ad osservare i bambini che giocavano. Lui adorava i bambini, non avrebbe mai fatto loro del male. Avrebbe anche voluto avere una bella famiglia numerosa.
Quel giorno, Eugenio era di nuovo lì, seduto sulla sua panchina, sorseggiando un insipido caffè. E come suo solito, osservava i bambini mentre giocavano. Quei bambini che ridevano spensierati, senza preoccuparsi di nulla. Se cadevano, si rialzavano e continuavano a giocare, se litigavano, facevano la pace subito dopo. L'unico momento in cui erano tristi, era quando dovevano tornare a casa. "Che invidia che mi fanno quei bambini" pensò Eugenio. Si tuffò nei ricordi. Ricordò la sua infanzia, quando anche lui andava a giocare proprio in quel parco. Si ricordò dei bei momenti passati insieme ai suoi amichetti di allora, delle partite a palla avvelenata, delle prime cotte, dei primi litigi. Ed era tutto un divertimento. Quando cadevi e ti facevi male, non stavi zitto: potevi piangere per il dolore, ridere, arrabbiarti, venir preso in giro dagli amici o incoraggiato ad alzarti... ed era tutto un divertimento, perché con un cerotto passava tutto e ricominciavi a giocare! O quando ti dichiaravi, timidamente, alla ragazza che ti piaceva e venivi respinto per l'amichetto più figo. E venivi preso in giro. Si rideva, si rideva eccome. Magari ti vendicavi colpendo la suddetta 'coppietta' appena formata, con la palla mentre si giocava. E tutto ciò era lecito, senza alcun timore o preoccupazione. O ancora, quando litigavi con i tuoi amichetti per delle stupide carte da gioco. Poteva capitare anche di non parlarsi per un giorno intero... ma poi si faceva la pace, scambiandosi qualche gioco o qualche parola carina. E via, di nuovo a giocare tutti insieme. Erano davvero bei tempi.
Eugenio distolse lo sguardo perso nel vuoto e lo puntò dritto verso il cielo. Un cielo cupo e grigio. "Ed ora invece?" pensò. Ora, se cadi e ti fai male, non dici una parola. Se riesci, ti rialzi e prosegui, zitto, senza incoraggiamenti, altrimenti rimani a terra, aspettando un qualche aiuto. Un aiuto che forse non arriverà mai. Ora se provi dei sentimenti e vieni respinto, non ci sono risate, non ci sono scherni, c'è solo un vuoto che rimane. Gli amici lo sanno e tentano di colmare quel vuoto come meglio possono, fallendo però miseramente. Ora se si litiga con qualcuno, è per motivi seri che possono portare all'allontanamento definitivo, al non rivedersi mai più. Che sia per il lavoro, per una ragazza, per soldi.... le amicizie possono rovinarsi con un niente.
"Che senso ha allora crescere?" si domanda Eugenio. "Che senso ha crescere se non c'è più divertimento in ciò che si fa? Se il lavoro non ti porta altro che stress, l'amore non ti porta altro che vuoto, gli sbagli non ti portano altro che dolore. Vorrei tanto ritornare a quei tempi..."

Una palla si adagiò vicino al piede di Eugenio. Un bambino gridò in direzione di lui.

«Hey signore, potrebbe tirarci il pallone!?»

«Perché se ne sta lì a fissare il cielo?» chiese un altro bambino.

Una signora si avvicinò al proprio bambino e disse: «Forza, è ora di tornare a casa»

«Mamma», chiese il bambino, «quel signore si è fatto male? Perché sta piangendo? Possiamo dargli uno dei nostri cerotti?»

La signora guardò Eugenio e, molto pacatamente, disse al bambino: «Purtroppo i nostri cerotti non possono aiutare quel signore. Ha una bua molto profonda. Vieni, torniamo a casa»

I due si allontanarono, con il bambino che non faceva altro che osservare il viso di Eugenio, coperto dalle lacrime, pensando: "Dev'essere proprio brutto crescere".

Nessun commento:

Posta un commento