domenica 25 maggio 2014

L'ultima volta

Sono passati mesi dall'ultima volta che ci siamo sentiti. Ogni giorno mi domando come tu stia, cosa tu stia facendo. Mangi abbastanza? Ridi abbastanza? Sei felice? Tutte cose che non potrò mai sapere. È buffo che un amore possa far finire un'amicizia. Eppure i ricordi di noi due insieme sono ancora vivi nella mia mente.
L'ultima volta che siamo stati in vacanza insieme.
L'ultima volta che abbiamo riso insieme.
L'ultima volta che ci siamo guardati negli occhi.
L'ultima volta che ci siamo sentiti.
Ricordi che non riesco a dimenticare. Ricordi di quel tempo oramai lontano. Ricordi che un tempo mi facevano sorridere, ma che ora sono solo delle lame nel petto.
Dall'ultima volta ho provato ad andare avanti, ma è stato tutto inutile. Io non volevo stare con chiunque altra, io volevo stare con te! Perché le altre non saranno mai come te.
A volte alzo la testa ed osservo il cielo. Quell'immensa distesa azzurra, le nuvole, gli uccelli che volano, la pioggia che cade, i fulmini. Mi ricorda molto te. Tu, quando eri felice e spensierata, che anche con qualche problema ridevi sempre, ma che, quando non ce la facevi più, scoppiavi a piangere e ti alteravi. Proprio come il cielo.
Dall'ultima volta, controllo sempre il mio smartphone, nella speranza di leggere un tuo messaggio, di ricevere una tua chiamata, di veder comparire una qualche notifica riguardo te. So che è tutto inutile, ma sai come sono, mi piace illudermi.
Chissà se un giorno potremmo incontrarci nuovamente. E chissà se mi riconoscerai. Avrei tante cose da dirti, tante cose da raccontarti, ma finirei per non dire nulla, perdendomi nei tuoi occhi.
Tutto questo non ha comunque importanza, dall'ultima volta. 
Spero solo che tu sia finalmente felice. Che quel cielo che amavo osservare sia sempre limpido e sereno, non più carico di pioggia e fulmini.

Ed ogni volta che osservo il cielo, mi faccio sempre la stessa domanda: mi pensi anche tu qualche volta?

sabato 24 maggio 2014

Il Pittore Ambizioso - capitolo 3 - Colori

Camminò per ore Elia, in mezzo alla desolazione più totale: intorno a lui c'erano solo rocce e qualche sterpaglia. La terra aveva delle crepe causate dalla siccità, il vento alzava polvere e terriccio facendo apparire l'ambiente ancora più desolato. Era un ambiente veramente ostile, inadatto alla vita.

"Perfetto! È il luogo ideale per fare pratica di pittura" pensò Elia che estrasse la sua incredibile tavolozza. Prese il pennello e pensò: "Inizierei con un po' di verde...". Detto fatto: il pittore agitò il pennello ed una scia verde ne scaturì dalla punta. Si muoveva leggiadro Elia, come se quel pennello fosse l'estensione del suo braccio e, cosa più importante, stava sorridendo. Dopo tanto tempo, aveva finalmente ritrovato la voglia di dipingere, la gioia di dipingere! Non era più solo un lavoro, non era più un obbligo: lui stava dipingendo per il gusto di farlo, per vedere le sue creazioni prendere vita. Con la sola differenza che, questa volta, le sue opere avrebbero preso realmente vita!

"Un po' di verde qui.... un po' di marroncino lì.... un po' di rosso qua.... un po' di giallo la...."

Pian piano intorno a lui si stava formando una vera e propria foresta: alberi imponenti, alcuni ricoperti da frutta, il terreno ricoperto da erba e fiori di ogni genere, funghi che crescevano ai piedi degli alberi, cespugli pieni di frutti di bosco, piante di ogni specie, terra fresca e viva.

"Senza un sostentamento la mia opera rischia di appassirsi e tornare alla desolazione di prima.... ci serve dell'acqua!". Detto fatto, Elia agitò il pennello e creò un lago in mezzo alla foresta.

"Ora tutte le piante avranno dell'acqua fresca con cui sostentarsi, evitando di appassire. Però così il paesaggio è un po' spoglio.... ci vuole un po' di vita!". Elia riprese ad agitare il pennello. "Un po' di grigio, un po' di bianco, un po' di giallo.... orecchie a punta, occhi profondi che incutano timore, zanne aguzze...", la mente del pittore aveva ben chiaro il soggetto del disegno. Dopo qualche minuto, ecco apparire un bellissimo esemplare di lupo: occhi gialli, pelo argentato, lunghi artigli. Aveva il naso giallo, questo perché Elia non voleva che incutesse troppo timore e che fosse docile ed amichevole. Ma quel lupo era tutto fuorché amichevole: appena vide il pittore, tirò indietro le orecchie e cominciò a ringhiare, mostrando i suoi affilati denti aguzzi. Elia capì che non bastava creare qualcosa perché questa ti fosse fedele. Il lupo si mise in posizione d'accatto, pronto a balzare al collo del pittore che, preso dal panico, iniziò a tremare. "Che cosa faccio adesso? Cosa può addolcire una creatura selvaggia? Pensa Elia, pensa..... ci sono!". Il pittore mosse il pennello prima che la bestia potesse balzargli addosso. Quest'ultima, vedendo il brusco gesto di Elia, saltò istintivamente addosso all'uomo, facendolo cadere a terra. Il suo muso era a pochi centimetri dal viso del pittore. Elia poteva sentirne il caldo respiro. La fine era vicina... chiuse gli occhi pregando con tutte le sue forze di sopravvivere. Sorprendentemente il lupo non lo azzannò, ma iniziò a leccarlo affettuosamente.

«Piano... piano.... così mi fai il solletico!» disse ridacchiando Elia, allontanando il muso del lupo dalla sua faccia. Quel lupo che un attimo prima era una spietata belva assetata di sangue, ora era docile come un agnellino.

"Il segreto è l'amore! Mi è bastato tingere il suo cuore di un forte rosso per far sì che mi amasse, e ha funzionato" pensò il pittore mentre fissava quel docile lupo. "Ora so come mi devo comportare!"

Il pittore riprese a destreggiarsi con il suo pennello, usando ogni genere di colore e disegnando ogni genere di forma: creò animali di tutti i tipi e dimensioni, dal possente elefante fino alla minuscola formica, e a tutti infuse una dose di amore così che non potessero attaccarsi a vicenda. Predatori e prede coesistevano armoniosamente in quell'habitat dalla magica atmosfera. Tutto era un tripudio di colori: nel cielo volavano stormi di tanti uccelli diversi, nel lago erano presenti tante di quelle specie di pesci da formare un quadro nell'acqua, sulla terraferma le varie specie davano vita al tutto: ghepardi, lupi, leoni, iene, orsi, tori, pantere andavano tranquillamente a passeggio insieme a cervi, pecore, zebre, gnu e tantissime altre specie, pericolose o meno. Era un vero paradiso.

"Sento che manca ancora una cosa...." pensò Elia. Agitò per l'ultima volta il pennello ed ecco spuntare dal nulla un uomo ed una donna, entrambi di carnagione chiara e con indosso abiti arabeggianti. L'uomo era alto e muscoloso, pelato e con una folta barba risaltata dai suoi occhi verdi. Indossava degli abiti rossi con dei ghirigori dorati che somigliavano a tante chiavi di violino. La donna invece aveva capelli lunghi e neri, leggermente ondulati, che le arrivavano fino ai fianchi. I lineamenti del viso quasi perfetti, come quelli di un angelo. I suoi occhi azzurri e cristallini avrebbero rapito chiunque, come le sue labbra estremamente sensuali. Indossava degli abiti celesti con dei ghirigori dorati che ricordavano delle chiavi di basso.

«Dove siamo? Che posto è questo?» disse l'uomo spaesato. Anche la donna non sapeva cosa stesse succedendo.

«Benvenute nel mio mondo! Io sono Dio e voi siete delle mie creazioni, insieme a tutte le altre creature che vedete qui» disse Elia cercando di contenere le risate.

«Quindi sei stato tu a crearci? Te ne saremo eternamente grati!» disse l'uomo.
«Ma perché ci hai creato?» chiese la donna.
«Già e quali sono i nostri nomi?» ribatté l'uomo.

"Caspita, li ho fatti più svegli di quanto pensassi! Ed ora che gli rispondo? Nel libro che ho letto, non hanno mai esposto questa domanda.... oh beh, mi inventerò qualcosa".

«Tu, mio uomo, sei Adamo. E tu, mia graziosa fanciulla, ti chiami Eva. Siete stati creati per vivere in armonia insieme a queste altre creature in questo luogo. Non temete, non vi faranno del male. Qui siete al sicuro, questo è il giardino dell'Eden!» disse con fierezza Elia.

«Ti ringraziamo Dio per averci creato. Come possiamo ripagare la tua immensa gentilezza?» disse Adamo.

«Non devi ringraziarmi, l'ho fatto per amore. Potete fare ciò che volete, ma badate bene: non dovrete mai cogliere i frutti dell'albero che è al centro del lago.

I due si girarono ed Eva esclamò: «Quale albero, mio Dio?»

"Diamine, mi sono dimenticato di disegnarlo!". Elia, con un astuto stratagemma, porse rimedio al malinteso: «Guardate in alto, c'è una maestosa aquila!». I due uomini alzarono la testa il tempo necessario perché Elia disegnasse un albero di melo pieno di frutti al centro del lago.

«Davvero un bell'esemplare di ucc... hey, ecco l'albero!» esclamò Eva per lo stupore.
«Come abbiamo fatto a non vederlo prima?» si domandò Adamo.

«Non è il momento di porsi simili domande Adamo... Ora è tempo per me di lasciarvi, ho delle questioni urgenti da sbrigare. Sapete.... creare mondi, popolarli.... quello che fanno le divinità» Elia stava calcando un po' troppo la mano e doveva andarsene prima di perdere completamente il controllo della situazione.

«Possiamo davvero fare tutto ciò che vogliamo?» chiese Adamo.

«Tutto, tranne cogliere i frutti da quell'albero» rispose Elia.

«Grazie Dio, non ti deluderemo!» esclamò Eva.

Elia salutò nuovamente le sue creature e si allontanò. Quando fu abbastanza lontano, si girò per ammirare nuovamente la sua opera e disse: «Sono veramente soddisfatto, è un capolavoro assoluto! Se fosse stato un quadro, si sarebbe intitolato 'Il Paradiso Terrestre'». Dopo averlo ammirato ancora per qualche secondo, Elia si girò e proseguì verso la sua strada, fischiettando allegramente.

lunedì 19 maggio 2014

Attesa

Veniva sempre in quel parco, Ada, ogni giorno. Una giovane donna che perse suo figlio di soli 4 anni, portatole via da un brutto male. Ogni giorno la donna sedeva lì, su quella panchina, ed attendeva. Attendeva che il figlio potesse sbucare all'improvviso da quella siepe in cui piaceva tanto nascondersi. Oppure che arrivasse correndo dopo aver fatto lo scivolo insieme ai suoi amichetti. O di vederlo andare avanti ed indietro sull'altalena, spinto dal suo sorridente padre. E, come ogni giorno, il marito Aldo all'uscita da lavoro, l'andava a riprendere.

«Michele non tornerà, Ada, devi fartene una ragione» diceva lui ogni volta.

Ma la donna sembrava non ascoltarlo. Rimaneva sempre in silenzio, fissando il vuoto. Solo raramente diceva qualche sporadica frase: «Hai sentito? Mi è sembrato di sentire la sua voce che mi chiamava. Diceva 'Mamma mamma, vieni anche tu sullo scivolo'» oppure «Non senti? Nostro figlio sta piangendo. Sarà caduto mentre giocava con i suoi amichetti?». Ed ogni volta Michele scuoteva al testa, abbracciava sua moglie e la riportava a casa, tra pianti e lacrime. Ogni volta Michele constatava quanto fosse dimagrita sua moglie. Quanto i suoi splendidi capelli a caschetto una volta neri, stessero diventando bianchi. E come i suoi occhi azzurri, un tempo pieni di gioia, ora siano solamente spenti, come un lago di notte. Si stava lasciando andare Ada, sempre di più verso un oblio. La disperazione stava colpendo anche Michele, lui che è sempre stato forte, per se stesso e, soprattutto, per lei. Lui che riusciva sempre a rassicurarla grazie al suo aspetto, con i suoi lunghi capelli castani e i suoi bellissimi occhi verdi. Lui che con le sue braccia forti la stringeva a se e le sussurrava all'orecchio: 'andrà tutto bene'. Ma ora non più. Ora non sapeva più cosa fare.


Dall'altra parte della città, in un'ospedale, Alice era in attesa: stava aspettando che i medici le dessero qualche notizia circa la salute del suo ragazzo Gabriele che soffriva di cuore e aveva urgente bisogno di un trapianto. Purtroppo però, non si riusciva a trovare un donatore. Erano passati quattro giorni ormai, quattro giorni da quando la ragazza aveva salutato Gabriele per l'ultima volta. Da allora poteva vederlo solo attraverso un vetro: vederlo attaccato a quei cavi, immobile, senza alcun segno di vita, la faceva stare male. Non le rimaneva altro che pregare. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Pregava che un donatore si facesse vivo, che arrivasse questo cuore in grado di salvare la vita della persona che amava.


Sull'autostrada, una macchina sfrecciava a tutta velocità. Un uomo al volante, una donna sul sedile del passeggero e sui sedili posteriori, un cucciolo di 4 anni di labrador, sdraiato su dei teli da mare che si godeva il viaggio. Ma la macchina iniziò lentamente a rallentare, accostandosi sulla corsia d'emergenza. L'uomo scese dalla macchina, aprì una delle portiere posteriori e richiamò il cucciolo. Il cane prese a scodinzolare e scese subito dalla macchina, pensando di essere giunti a destinazione e di poter quindi correre liberamente, in qualche parco magari. Ma lo spettacolo che gli si presentava davanti era tutt'altro: macchine che sfrecciavano velocemente vicino a loro, rumori di motori, clacson, smog... non si aspettava proprio una cosa simile. L'uomo portò il cane vicino al guard rail, gli disse di accucciarsi e gli sfilò il collare. Il cane non capiva, ma continuava a scodinzolare. Dopo di ché l'uomo disse 'A cuccia, non ti muovere' e salì nuovamente in macchina mettendo in moto, per poi allontanarsi velocemente. Il cucciolo rimase fermo, immobile, sdraiato sull'asfalto. Smise anche di scodinzolare. Osservava la macchina allontanarsi a grande velocità. Tenne lo sguardo fisso in direzione della macchina, oramai sparita dal suo campo visivo. Ed aspettò. Attese speranzoso il ritorno del suo padrone. Sapeva che sarebbe tornato. Ad ogni macchina che passasse e gli ricordasse quella del suo padrone, lui si alzava sulle quattro zampe ed abbaiava, salvo poi tornare a sdraiarsi non appena la macchina scomparisse all'orizzonte.


Appena fuori città, in un orfanotrofio, Andrea se ne stava sempre in disparte. Era un bel bambino dai capelli ricci e biondi, occhi verdi e guance rosse. Mentre gli altri bambini andavano vestiti tutti eleganti con camicie e pantaloni formali, lui preferiva le t-shirt e dei jeans strappati, si trovava più comodo. 'Non troverai mai una famiglia disposta ad adottarti se ti vesti a quel modo' gli dicevano sempre. E lui soffrira dentro, senza darlo a vedere. Quando arrivava il momento delle visite da parte di famiglie disposte ad adottare qualche bambino, lui era sempre in disparte. Aveva paura che potesse essere giudicato male, di ricevere delle critiche. Ed allora aspettava. Attendeva che si accorgessero di lui e che potesse quindi essere adottato. Attendeva qualcuno che andasse oltre le apparenze, che gli volesse bene per quello che fosse veramente e non per come apparisse. Ma durante i ricevimenti, lui non veniva preso mai in considerazione. I bambini si ammassavano verso le future mamme ed i futuri papà, sfoggiando sorrisi e buone maniere, mentre Andrea se ne stava sempre lì, in quel suo angolo. 'Non verrai mai adottato se te ne stai sempre da solo e con quel muso lungo' gli dicevano sempre. E la sera, quando tutti dormivano, lui piangeva. Piangeva sul cuscino del suo letto, stringendo a se il cane di pezza che si portava sempre dietro, l'unico amico che aveva.


Un giorno, Aldo andò a prendere la moglie al solito parco, accompagnato da una donna.

«Tesoro, vorrei presentarti una persona» disse lui nel modo più dolce e gentile possibile.

Ada alzò lo sguardo ed osservò quella donna: aveva un viso gentile, con dei lineamenti delicati. I capelli neri e mossi che le coprivano parte del viso e due bei occhi neri, la rassicuravano.

«Io sono Giulia, sono un'assistente sociale. Suo marito mi ha raccontato la storia di vostro figlio... mi dispiace veramente tantissimo. Capisco che sia un dolore insostenibile, soprattutto per una madre, ma Ada, lei non deve buttarsi giù, lei deve reagire. Pensi a Michele, sarebbe felice di vederla in questo stato? Perché invece non prova ad andare avanti? Venga nel nostro orfanotrofio, abbiamo molti bambini desiderosi di ricevere l'affetto e l'amore di una famiglia. Non le sto dicendo di dimenticare Michele, assolutamente no. Le dico solo che potrebbe donare il suo, anzi, il vostro amore per un'altra creatura. Sono sicura che Michele sia d'accordo»

Una lacrima scese lungo il viso di Ada, che si alzò e chiese al marito di accompagnarla a questo orfanotrofio.

Lungo l'autostrada che portava all'orfanotrofio, Aldo vide che sull'altra carreggiata si era formato un ingorgo: una macchina aveva perso il controllo ed era andata a sbattere lungo il guard rail. Il conducente era stato sbalzato fuori dal veicolo.

"Che brutta botta....", pensò Aldo.

Arrivati all'orfanotrofio, la coppia andò subito nel cortile dove i bambini erano intenti a giocare. Alla vista della coppia, tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e corsero verso di loro, ridendo dalla gioia. Tutti tranne uno: Andrea rimase sull'altalena, dondolandosi leggermente mentre fissava quella mandria di bambini intenti a fare le 'feste' ai due arrivati. "Sembrano un branco di cuccioli di cane" pensava con una punta di invidia.
Ada era felice di vedere tutti quei bambini gioiosi, ma era ancora titubante.

«Che c'è amore, non sei ancora convinta?» chiese Aldo.

Ada stava per rispondere, quando alzò lo sguardo e vide Andrea che li fissava. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, ma alla donna bastò per capire tutto. Capì che erano simili, che entrambi avevano sofferto e che entrambi erano in attesa di un qualcosa che forse non avrebbero mai più rivisto. Ma che forse, poteva superare. Insieme.
La coppia decise di adottare Andrea. Ada era felice, Aldo non la vedeva così felice da anni ormai.
Durante il viaggio di ritorno in autostrada, Ada e Andrea chiacchieravano allegramente. Ma ad un certo punto, Andrea urlò: «Fermati, ferma la macchina! C'è un cagnolino lì!»
Aldo accostò nella corsia di emergenza e Ada scese dalla macchina per controllare. Un cucciolo di labrador era lì, sul ciglio della strada, al limite della corsia di emergenza, sdraiato sull'asfalto e con lo sguardo fisso nel vuoto. La donna si avvicinò cautamente al cucciolo ed allungò la mano verso il suo musetto. Il cucciolo iniziò ad annusare la mano della donna. Dalla macchina intanto, Andrea si affacciò dal sedile posteriore, guardando la scena attraverso il lunotto. Gli sguardi del bambino e del cucciolo si incrociarono. Quest'ultimo iniziò così a scondinzolare. Leccò la mano della donna e si alzò in piedi, avvicinando il suo muso al viso della donna e cominciare a leccare anch'esso. Aldo, che era sceso dall'auto ed aveva visto la scena, fece cenno di portare il cane in macchina. Lì, Andrea ed il cucciolo fecero conoscenza e la nuova famiglia così costituita fece ritorno a casa.


Alice stava ancora pregando quel giorno. Con le mani tra i suoi lunghi capelli rossi e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi castani, era nella disperazione più totale. Si era stancata di attendere, non ce la faceva più. Ma ecco che un medico le si avvicinò e disse: «signorina, abbiamo ottime notizie: abbiamo un cuore per Gabriele! Lo stiamo portando in sala operatoria, tra qualche ora potrete riabbracciarvi»
Alice si asciugò le lacrime ed alzò lo sguardo, fissò il medico e disse: «Come l'avete trovato?»

«Purtroppo è stata una fortuna nella sfortuna: la macchina di una giovane coppia che stava andando fuori città per le vacanze, ha sbandato improvvisamente mentre si trovava in autostrada. Sbandando si è schiantata contro il guard rail ed il conducente è stato sbalzato fuori dal veicolo, morendo sul colpo. La compagna non ha riportato gravi ferite, è stata ricoverata in questo stesso ospedale»

«Mi dica il numero della sua stanza»

«La 404»


La ragazza si affacciò alla porta della stanza 404 e vide una giovane donna in piedi, davanti alla finestra intenta a fissare il vuoto. Era piena di cerotti e fasciature. Alice entrò con discrezione. La donna, accorgendosi della presenza di Alice, si voltò e le due si fissarono negli occhi. Bastò uno sguardo. Alice scoppiò a piangere ed abbraccio la donna, stringendola forte, senza smettere di pronunciare la parola 'Grazie'. La donna intuì cosa fosse successo, strinse la ragazza a sua volta e disse sottovoce: «Almeno così avrà espiato le sue colpe...»


È così l'attesa: tu sei lì, impotente ed incapace di fare nulla. Sei lì che aspetti che la situazione cambi. A volte però basta farsi forza ed affrontare la situazione per sperare in qualche cambiamento. Altre volte la soluzione arriva così, all'improvviso ed inaspettatamente. Qualunque sia la situazione, una cosa non bisogna mai fare: smettere di sperare. La speranza è quella cosa che ci permette di affrontare e superare l'attesa. Senza la speranza, saremmo perduti.

Perduti nell'attesa, in un limbo senza fine.

sabato 17 maggio 2014

Il Pittore Ambizioso - capitolo 2 - La tavolozza

«Una strega?!». Elia non riusciva a credere a quelle parole. Eppure spiegherebbe il perché gli abitanti fossero spariti di colpo.

«Certo. Non se ne vedono più molte in giro, dopo il periodo della caccia alle streghe, però qualcuna ne è rimasta». La vecchietta iniziò a ridacchiare.

«Perché stai ridendo?» chiese Elia con una punta di curiosità.

«Perché se non ti avessi fermato, te ne saresti andato buttando al vento la tua unica possibilità di ritrovare la passione per la pittura»

«Come fai ad esserne così sicura?»

«Perché ho qui qualcosa per te». La vecchia tirò fuori, da dietro la schiena, una tavolozza. Era di legno, un legno marcio, dalla qualità molto scadente. Aveva chiazze nere un po' ovunque, ma nessun'altra macchia. La cosa era strana visto che la tavolozza sembrava abbastanza vecchia, impossibile che nessuno l'avesse mai utilizzata e che quindi non avesse qualche macchia colorata qua e là.

«Cosa dovrei farmene di quella tavolozza? Ho già la mia, guarda», Elia estrasse dalla sua bisaccia una splendida tavolozza di legno di quercia, perfettamente tenuta e levigata. Sul retro riportava le sue iniziali: E. W. Andava molto fiero di quella tavolozza, modellata da lui stesso usando il legno dell'albero di quercia che cresceva dietro la sua casa.

«Ma questa è speciale» ribattè la strega.

«E cosa avrebbe di così speciale?»

«Non ha bisogno di colori»

«E come dipingerei secondo te?»

«Con la fantasia e l'immaginazione!»

«Va bene che sei una strega, ma forse hai qualche rotella fuori posto»

«Sei ancora scettico vedo... ti propongo uno scambio allora: la mia tavolozza per la tua. Se non dovessi più essere soddisfatto, potrai tornare qui, in questo villaggio, e chiedermi di ridarti indietro la tua. Io non mi muoverò di qui»

Elia ci stava pensando.

«Suvvia, cos'hai da perdere? Non capita tutti i giorni di fare affari con una strega!» esortò la vecchia.

Il pittore si avvicinò alla strega, la fissò negli occhi e disse: «Se non dovessi trovarti quando tornerò, ti darò la caccia anche in capo al mondo e ti costringerò a ridarmi la mia tavolozza. E stai pur certa che se vorrai imbrogliarmi, me ne accorgerò»

«Ti do la mia parola, dovessi bruciare su di un rogo seduta stante!»

I due si strinsero la mano e si scambiarono le tavolozze.

«Un'ultima cosa... guarda dietro di te» disse la vecchia.

Elia si girò, ma non vide nulla.

«Vecchia, ti va di scherz...», una volta rigiratosi, la vecchia era sparita. Sentì di nuovo il chiacchiericcio di sottofondo. La gente era improvvisamente ritornata. Era come se non se ne fosse mai andata.

"Avrò fatto bene a fidarmi di quella strega? E se mi avesse lanciato qualche sortilegio?" si disse tra sé e sé.

Improvvisamente, un bambino che stava camminando con delle stoffe tra le braccia, cadde a terra. Era assetato e respirava affannosamente. Una folla accorse per soccorrerlo. Elia sentì le urla e gli schiamazzi e si avvicinò incuriosito.

«Ha bisogno di acqua. Presto, portate dell'acqua!»
«Non ce n'è più, per oggi l'abbiamo finita! Ci vogliono due ore per arrivare al pozzo, non credo che resisterà!»
«Se solo ci fosse ancora il fiume, a quest'ora avremmo acqua in abbondanza!»

Poco lontano dal villaggio, Elia notò quello che sembrava essere il letto di un fiume, oramai completamente prosciugato. E proprio in quel momento che, istintivamente, afferrò la tavolozza ed un pennello e si allontanò dalla folla, raggiungendo il letto del fiume. Una volta arrivato al suo bordo, passò il pennello sulla tavolozza. Era come in uno stato di trance, nella sua mente c'era un unico pensiero.

"Azzurro"

Diede una pennellata, da un'estremità all'altra del fiume. Subito dopo tornò in se.

"Cosa stavo facendo?" si disse interdetto. Un rumore però lo distolse dai suoi pensieri. Dell'acqua stava confluendo dalla parte in cui aveva iniziato a muovere il pennello, passando per tutto il fiume, fino a perdita d'occhio.

Un abitante che passava di lì per caso iniziò ad urlare: «ACQUA! ACQUA! C'È DELL'ACQUA! SIAMO SALVI, IL FIUME È DI NUOVO PIENO D'ACQUA!»

La gente del villaggio accorse in massa per abbeverarsi e salvare così quel bambino. Era un tripudio di gioia: gente nuda che si faceva un bel bagno, bambini che giocavano con l'acqua, contadini che irrigavano i loro campi, donne che lavavano i propri vestiti.

Elia era incredulo a ciò che stava osservando. Era stato davvero lui a fare ciò? Che stregoneria era mai questa? Però quella vista lo rendeva felice. Era come ammirare un bellissimo dipinto.

"Come ammirare.... un dipinto? MA CERTO!". Elia aveva finalmente capito. Sapeva cosa doveva fare. Ripose la tavolozza ed il pennello nella bisaccia e continuò il suo viaggio, lasciandosi alle spalle quella gente in festa.

venerdì 16 maggio 2014

I Tre Demoni Bianchi (HDRemix) - capitolo 1 - Le Tre Sorelle

CAPITOLO 1
LE TRE SORELLE

C'erano un tempo, in una terra lontana, tre sorelle: forti come demoni e belle come angeli, indossavano delle eleganti armature bianco perla. Erano tre mercenarie, le più temibili mercenarie che il continente di Gatam avesse mai conosciuto. Erano i Tre Demoni Bianchi.
Titania, la sorella maggiore, abile ed impavida guerriera. I lunghi capelli rossi e lisci che le scivolavano lungo la schiena, gli occhi rossi, pieni di rabbia, un viso dai lineamenti forti e decisi ed un corpo grande, possente, ma comunque femminile, di una bella donna, in grado di sopportare il peso di quell'imponente armatura. Un'armatura che nemmeno i più forti cavalieri del regno riuscirebbero a trasportare, adornata da simboli e ghirigori vari che ne aumentavano la bellezza e con, sulla schiena, l'immagine di un falco. Nessun graffio o scheggiatura. Questo faceva capire quanto temibile potesse essere Titania.
Leonora, la secondogenita, abile nelle arti magiche. Portava dei capelli a caschetto viola e un paio di occhiali dalle rotondi lenti che risaltavano i suoi grandi e timorosi occhi neri. Aveva un bellissimo fisico, il più bello tra le tre sorelle. Ovunque andasse, incrociava sempre gli sguardi della gente che la osservava. Sguardi pieni di desiderio per gli uomini e di invidia per le donne. La sua armatura era più aggraziata rispetto a quella di Titania, avendo anche un gonnellino per facilitare i movimenti. Sulla sua armatura, erano riportate diverse rune magiche e, sulla schiena, l'immagine di un gufo.
Kate, la più piccola delle sorelle, non era seconda a nessuno nell'utilizzo dell'arco. Aveva dei bellissimi capelli dorati, abbastanza corti ed ondulati. I suoi occhi azzurri invece erano cristallini ed innocenti, proprio come quelli di un bambino. E pieni di speranza, come ogni giovane. Aveva anche due belle e soffici guance con sfumature di rosso. Uno dei passatempi preferiti dalle sorelle era quello di strapazzarle. Non era molto alta, essendo ancora una ragazzina, però era agile e scattante. La sua armatura era la più leggera delle tre ed anche quella con meno accessori. D'altronde, per un cecchino non è necessario essere protetti in ogni punto. Sulla schiena, l'armatura riportava l'immagine di un'aquila.

Il loro nome era temuto su tutto il continente. Al solo udirlo, la gente scappava o tremava in preda al terrore. Da brave mercenarie quali erano, dovevano fare ciò che gli veniva ordinato: uccisioni, rapine, trasporto di merci preziose, spedizioni... ogni cosa a loro andava bene, purché ben pagata. Non avevano regole... eccetto una: nessun legame affettivo. Non potevano permettersi nessuna debolezza data dal sentimentalismo. Come mercenarie, il loro compito era di terminare la missione assegnatagli con successo, senza esitazione. Tuttavia, tra di loro c'era un legame indissolubile: tutte avrebbero dato la vita pur di salvare un'altra del gruppo in difficoltà. Titania in particolare, essendo la maggiore, era molto protettiva nei confronti delle sorelle.

Un giorno, le tre sorelle furono inviate ad uccidere un drago per conto del re di Garland, uno dei più grandi feudi di tutto il continente di Gatam. La missione durò diversi giorni, ma alla fine le ragazze riuscirono ad avere la meglio su quel drago. Come prova della riuscita della missione, Titania decise di riportare la testa del drago al castello di Garland.
Giunsero infine davanti alle porte di ingresso della città, sporche e puzzolenti, con una testa di drago in putrefazione e stanche per l'estenuante viaggio intrapreso.

«Bene, siamo finalmente giunte a Garland! Ora non mi resta che andare a consegnare la testa di questo drago al re e ricevere la nostra meritata ricompensa... forse chiederò anche un piccolo extra, non è stata proprio una passeggiata sconfiggere 'sto bestione» disse Titania trionfante.

«Hai ragione sorellona, per un attimo me la son vista veramente brutta... per fortuna che avevo da poco appreso quell'incantesimo temporale per rallentare i nemici, altrimenti mi avrebbe fatta a fettine!» replicò Leonora.

«In quel caso ci avrei pensato io, con una freccia dritta nell'occhio destro. Però mi domando... quand'è che hai imparato quell'incantesimo?» domandò curiosamente Kate.

«Oh, è grazie a questo libro che ho 'preso in prestito' dagli archivi segreti della biblioteca reale. Ahahah!»

«E brava la mia sorellina! Bene, mentre io vado a consegnare questa testa, tu Leonora vai a cercare una locanda, mentre tu Kate vai a comprare qualcosa da mangiare per cena. Hai ancora qualche soldo, vero?»

«Certo sorellona! Solo che non capisco come mai non ci facciamo ospitare dal re in persona... insomma, alla fine gli abbiamo fatto un grosso favore ed il minimo che potrebbe fare sarebbe ospitarci per la notte!»

«Abbiamo già affrontato questo discorso Kate... siamo delle mercenarie e non siamo viste di buon occhio. Oggi abbiamo aiutato il re di questo feudo, domani potremmo assassinarlo per ordine di qualcun altro. Dormire nelle stanze del castello sarebbe troppo pericoloso, rischieremo di venire uccise dalle guardie reali e non voglio assolutamente correre questo rischio» sentenziò Titania.

«Ho capito... beh, allora vado a comprare qualcosa per cena. Cosa preferite, carne o pesce?»

«Carne!»
«Pesce!»

«... arriverà il giorno in cui riuscirete a mettervi d'accordo su cosa mangiare?» disse sconsolata Kate.

«Oggi si mangia carne, devo recuperare le forze. Mi son portata questa testa di drago dalla grotta in cui l'abbiamo scovato, fino a qui. Avrò diritto a scegliere cosa mangiare per cena?» disse autorevolmente Titania.

«Ed io allora, che ve l'ho immobilizzato e gli ho dato il colpo di grazia con quella lastra di ghiaccio?» replicò polemicamente Leonora.

«Ma veramente l'ho ucciso io con una freccia nel cuore!» disse stizzita Kate.

«RAGAZZE! Io sono la sorella maggiore, io decido: oggi si mangia carne» tagliò corto Titania.

«Non potrai utilizzare questa scusa per sempre!» si lamentò Leonora.

«Sì invece: sono e resterò sempre la sorella maggiore, ahahahah!»

«... imparerò un incantesimo per invecchiarmi ed allora sarò io la sorella maggiore!»

«... forse è meglio muoversi, si sta facendo buio» disse Kate per chiudere la discussione.

«Hai ragione. Bene ragazze, ci vediamo nella piazza centrale tra due ore. Siate puntuali»

«Quanto vorrei che quella testa ti mordesse», bisbigliò Leonora.

«GUARDA CHE TI HO SENTITA!», urlò Titania in lontananza.

Benché fosse uno dei feudi più grandi ed importanti di tutto il continente di Gatam, Garland si presentava come un tranquillo villaggio rurale, composto da un mercato e poche attività commerciali. Dalla piazza, subito dopo l'ingresso principale, si dipanavano altre tre vie: quella a nord puntava al quartiere residenziale, dove vi erano le abitazioni degli abitanti ed il castello del re. Mentre Titania stava percorrendo quella via, gli sguardi degli abitanti si posavano sull'enorme testa di drago che la ragazza stava trascinando, macchiando la strada ciottolosa di pezzi di scaglie di drago. Quella ad ovest puntava al mercato, dove si era diretta Kate, mentre quella ad est portava al quartiere adibito al ristoro, pieno di locande e stalle. Era qui che Leonora doveva trovare un luogo dove passare la notte.

"Se non riuscissi a trovare una locanda dove passare la notte e dovessimo accontentarci di una stalla in cui dormire, è la volta buona che Titania mi staccherà la testa" pensò timorosamente Leonora.

Kate stava girando per le varie bancarelle del mercato, in cerca di carne di qualità. Purtroppo si era fatto tardi, il sole stava quasi per tramontare e la carne migliore era già stata acquistata. Ma Kate non demorse e continuò a cercare. Dopo aver girovagato un po', notò una bancarella semi nascosta in un viottolo. Sul bancone c'era carne di tutti i tipi: maiale, manzo, vitello e vari volatili. È lì che vide le più belle bistecche di cinghiale che avesse mai visto in vita sua.

«Bistecche di cinghiale! Titania sarà contentissima, è il suo piatto preferito» disse entusiasta. Poi, rivolgendosi all'anziano uomo dietro al bancone, disse: «Mi scusi, quanto vengono queste bistecche?»

«Il cinghiale è un animale abbastanza raro da queste parti piccola... sicura di avere abbastanza soldi?» chiese dubbioso il vecchio.

«Certo che sì! Per i mercenari non c'è prezzo che non si possa pagare»

L'uomo scrutò meglio la ragazza ed esclamò: «Perbacco, sei un Demone Bianco! Perdona questo povero vecchio, purtroppo la mia vista non è più quella di una volta...»

«Lei sai chi sono?»

«Solo un pazzo o un cieco non saprebbe chi siano i tre Demoni Bianchi! D'altronde, quell'armatura bianca non da luogo a dubbi... e siccome stavo facendo il madornale errore di scambiarti per una normale ragazzina, ti farò un 'piccolo' sconto: solo una moneta d'argento a bistecca! Normalmente ne costerebbero cinque, ma non posso far pagare così tanto ad una così abile assas... ehm, volevo dire, ad una così graziosa ragazza!». Il vecchio era visibilmente intimorito.

«Non so come ringraziarla! Allora ne prendo sei, la mia sorellona ha un appetito da leone»

Il vecchio cominciò a tremare. "Si starà riferendo al 'Demone Possente, Titania la Sterminatrice'... spero che la carne sia di suo gradimento... non voglio morire....", pensò tra sé e sé.

«Allora la ringrazio! Spero che a mia sorella piaccia questa carne»

Il vecchio urlò e scappò in preda al panico.

«Cosa avrò mai detto di male?» disse Kate. Un piccolo sorriso comparve sul suo viso.

Il sole era ormai completamente calato. La ragazza mise la carne nella sua borsa e si incamminò per raggiungere il luogo dell'appuntamento. Appena uscita dal vicolo però, si scontrò con qualcuno. L'urto la fece sbalzare all'indietro, facendola cadere a terra insieme alla borsa contenente le bistecche.

«Ti sei fatta male?», disse cordialmente una voce.

«Ai ai... ma vuoi guardare dove vai?! Forse non ti è chiaro chi io sia, perché altrim...», la ragazza non riuscì più a pronunciare una parola. Davanti a lei c'era un ragazzo alto, bello e distinto, benché fosse vestito solamente di stracci. Aveva dei lunghi capelli castani che gli si posavano dolcemente sulle spalle e due grandi occhi azzurri che rapirono immediatamente la ragazza. Un bel mento marcato chiudeva il quadro di quello che sembrava un viso scolpito di una statua.

«Perdonami, ero sovrappensiero e non guardavo dove andassi» disse il ragazzo.

«...eh? Come? Cosa? Chi sei tu?» Kate era ancora confusa.

Il ragazzo raccolse la borsa da terra e la porse a Kate: «Mi chiamo Marcus, piacere di conoscerti Kate!»

«Ah, p-piacer.... un momento, come fai a conoscere il mio nome?»

«Ma vuoi scherzare? Tutti in tutto il continente conoscono il leggendario trio dei Demoni Bianchi: il Demone Possente, Titania la Sterminatrice. Il Demone Avvenente, Leonora l'Ancestrale. Ed infine tu, il Demone Silente, Kate l'Eterea. Si può dire che io sia un vostro grande ammiratore, però non pensavo proprio avrei avuto la fortuna di imbattermi in una di voi, specialmente tu! Dovresti essere quella che non si fa sorprendere, ma che anzi, sorprende sempre la sua vittima e la fredda con il suo poderoso arco! Non è così?»

«S-sì che è così! Ero semplicemente sovrappensiero, tutto qui!», disse con una punta di rabbia, proseguendo con: «Grazie comunque per avermi raccolto la borsa»

«È così che fa un vero gentiluomo» il ragazzo porse gentilmente la borsa a Kate. «Ora però devo andare, mi ha fatto veramente piacere conoscerti! Spero di incontrarti ancora in futuro»

«A-anche per me... M-M-Marcus!», le guance di Kate iniziarono ad arrossire più del solito.

Il ragazzo sorrise dolcemente e se ne andò. Kate rimase immobile per qualche minuto a fissare il vuoto. Una bambina le si avvicinò e le disse: «Perché stai lì ferma immobile? Non ti senti bene? Sei tutta rossa in viso»

Una donna corse ad afferrare la bambina e la portò via da lì: «Maria, ma sei pazza? Quella è una dei Tre Demoni Bianchi! Avrebbe potuto ucciderti!»

Kate, che aveva sentito tutto, tornò in se e, chinando la testa, si avviò verso la piazza centrale.


Giunse la sera e le ragazze erano alla locanda 'Il Drago Imperiale'. Una locanda tranquilla, con pochi tavoli per mangiare al piano terra e tre camere da letto al piano superiore. Nessun bardo ad allietare la gente con le sue canzoni. Titania odiava i bardi e Leonora si assicurò che non ve ne fossero quella sera. L'insegna raffigurava un drago nero con una corona in testa ed una lancia in una zampa, con le ali spiegate ed in posizione eretta. 

«Non potevi scegliere un'altra locanda? Questo nome mi disgusta» si lamentò Titania.

«Oh no, mi dispiace tanto, io non sapevo che i draghi ti disturbassero!» disse ridacchiando Leonora.

«Non sei simpatica, sapevi BENISSIMO quanto odiassi i draghi, mi son lamentata per tutta la missione. Non l'avrei accettata se il compenso non fosse stato lauto»

«Sarà.... eheh» Leonora si divertiva a punzecchiare Titania.

«Dannata sfrontata, osi prenderti gioco di me così apertamente... sai che potrei fartela pagare?»

«Dai, quando vuoi!»

«NON OSARE SFIDARMI!» urlò Titania, battendo un colpo sul tavolo.

Il silenzio avvolse la locanda. Tutti i presenti smisero di mangiare e di bere per osservare cosa stesse succedendo. La quiete fu rotta dall'arrivo del cameriere: «Ecco a voi le vostre bistecche, cotte a puntino come ci avete ordinato... spero siano di vostro gradimento»

«Era ora, stavo morendo di fame! E voi tutti, continuate a mangiare!», tuonò la ragazza, facendo voltare immediatamente tutti i presenti che ripresero a mangiare.

«E brava Kate, questa vota hai fatto proprio un colpaccio! Era da tanto che non mangiavo delle bistecche di cinghiale. Avrei preferito del pesce spada certo, ma mi accontento» disse Leonora con l'acquolina alla bocca.

«Sai che non ho avuto scelta...» rispose sconsolata Kate. «Beh ragazze, buon appetito!»

Kate stava per avventarsi sulla bistecca, quando Titania si alzò in piedi e, con un rapido colpo, fece cadere la bistecca a terra con tutto il piatto che si frantumò in mille pezzi provocando un forte rumore. Il silenzio calò di nuovo, ma questa volta nessuno ebbe il coraggio di girarsi. Il cameriere accorse subito al tavolo delle tre ragazze e chiese timoroso: «C...c'è f-forse qualcosa che non va?»

«Queste bistecche... assaggiane una» disse Titania fissando negli occhi il cameriere. Uno sguardo quasi demoniaco fece tremare di paura il cameriere. Malgrado ciò, acconsentì senza problemi ad assaggiare un pezzo della bistecca di Leonora. Immediatamente la sua bocca si riempì di bava e collassò a terra in preda agli spasmi, finché non rimase immobile, senza più respirare. Qualche persona urlò, altre svennero, altre ancora fuggirono dal locale in preda alla paura. Al suono di quelle grida, i cuochi uscirono dalla cucina e si precipitarono da Titania, seguiti dal padrone della locanda.

«Cosa sta succedendo qui?» disse il locandiere.

«Uno dei vostri cuochi ha messo del veleno nelle nostre bistecche. E mi ero pure raccomandata di non fare scherzetti, che tanto me ne sarei accorta!» disse in modo autoritario Titania.

«Ma veramente noi non abbiamo messo nessun veleno! Figuriamoci se siamo così pazzi da sfidare il temibile trio dei Demoni Bianchi!» disse uno dei cuochi.

«Ed allora chi è stato? Sicuramente non il cameriere visto che ha assaggiato la pietanza senza batter ciglio. Se avesse saputo che fosse avvelenata, avrebbe quantomeno opposto resistenza!»

«Non può essere stata una di voi invece?»
Dalla cucina uscì un altro cuoco, completamente vestito di nero e con una mannaia in mano.

«E questo da dove esce fuori?» chiese ironicamente Leonora, continuando con: «Perché mai avremmo dovuto avvelenare la nostra stessa cena?»

«Non ne ho la più pallida idea. So solo che ho sentito delle urla e sono uscito dalla cucina con questa mannaia. Se cercavate una scusa per creare problemi, l'avete trovata»

Titania fece uno scatto verso il cuoco e gli assestò un sonoro pugno sul naso, fracassandoglielo all'istante. Il cuoco finì a terra, senza avere il tempo di reagire in alcun modo. «Io non ho bisogno di scuse per creare problemi. Se solo volessi, potrei radere al suolo questa locanda! Credi di poterci minacciare con una stupida mannaia?»

Il locandiere intervenì per mettere fine alla discussione: «Forse dovremmo tutti calmarci.... Mi dispiace in primo luogo per l'accaduto e per il comportamento del mio subordinato. Le assicuro che non accadrà più. In secondo luogo, mi permetta di offrirvi il miglior pasto e la migliore stanza che la nostra locanda dispone, il tutto gratuitamente»

«Avete capito finalmente con chi avete a che fare. Bravo locandiere, sei un uomo saggio! Forza ragazze, rimettiamoci a tavola» disse Leonora.

«NO», tuonò Titania, «Noi non resteremo qui un minuto di più. Hanno provato ad avvelenarci e ci hanno accusato di essere noi le responsabili. Decliniamo l'offerta e ce ne andiamo. A mai più rivederci»

«Ma Titania... dove mai andr...» Leonora non riuscì a finire la frase. Lo sguardo di Titania era quello di un demone pieno di rabbia. La ragazza sapeva che quando era in quello stato non era il caso di discuterci, quindi si zittì e chinò la testa. Le tre ragazze si allontanarono, mentre un forte chiacchiericcio cominciò ad innalzarsi per tutta la locanda.

«Quella è una pazza, mi ha rotto il naso!» disse il cuoco, alzandosi e raccogliendo la mannaia da terra

«Ma hai una minima idea di chi fossero quelle ragazze?» gli domandò il locandiere.

«No... ma se le ribecco, non saranno così fortunate!» disse il cuoco mentre faceva oscillare la mannaia.

«Sei così desideroso di morire? Quelle tre ragazze sono i Tre Demoni Bianchi! Possibile che tu non le abbia mai neanche sentite nominare?»

Il cuoco divenne bianco in volto e cominciò a sudare freddo. La mannaia gli cadde dalle mani, conficcandosi a terra. Non aveva mai visto di persona i Demoni Bianchi, ma ne aveva sempre sentito parlare. Storie raccapriccianti.

«Ora capisci? Mi domando chi sia il pazzo ad aver provato ad avvelenarle.... mai e dico mai mettersi contro i tre Demoni Bianchi» disse il locandiere scuotendo la testa.


Le tre ragazze si allontanarono dalle mura della città, cacciarono qualche cervo e si accamparono intorno ad un fuoco, mangiando le loro prede. Titania aveva sbollito la rabbia, la caccia l'aveva sfogata per bene.

«Titania, perché non sei voluta rimanere? Avremmo avuto un pasto da re ed una lussuosa camera, piuttosto che dormire per terra e mangiare carne di cervo!» si lamentò Leonora

«Non ti piace il cervo?» disse sarcasticamente Titania

«Non è questo il punto! Il punto è che...»

«Il punto è che non potevamo rimanere lì» tagliò corto Titania.

Calò un imbarazzante silenzio. La sorella maggiore proseguì: «Avevamo attirato troppo l'attenzione, la gente avrebbe saputo che avremmo pernottato lì e quindi avremmo potuto correre parecchi rischi. Già questa storia dell'avvelenamento non mi piace proprio. Kate, domani dovrai portarmi nel luogo dove hai acquistato quella carne»

«Stai sospettando del venditore?»

«Sì, sospetto che lui ti abbia riconosciuta e che quindi abbia provato a fregarti, mettendo del veleno nella carne»

Kate rispose contrariata: «Sai benissimo che non è così, che me ne sarei accorta. Non sono così stupida, so riconoscere se c'è del veleno su della carne cruda! Alla locanda c'erano troppe spezie e non ho potuto accorgermene... per fortuna che ci hai pensato tu. Ad ogni modo, escludo nella maniera più assoluta che possa essere stato il vecchio che me l'ha venduta: inizialmente non si era accorto chi fossi, quando però mi ha guardata meglio e se n'è accorto, il suo atteggiamento è cambiato; provava paura, leggevo il terrore nei suoi occhi. Mi ha perfino scontato il prezzo della carne, un ottimo scontro aggiungerei! E comunque sono stata attenta, non ha fatto movimenti strani e sono sicura di aver controllato la carne quando me l'ha data»

«Ed allora tutto questo rimane un bel mistero.... oh beh, avremmo tempo domani mattina per approfondire l'argomento. Sarà meglio andare a dormire ora»

«È stata una giornata davvero snervante, sono esausta.... Beh buonanotte ragazze» disse sbadigliando Leonora

«Buonanotte» rispose freddamente Titania.

Con un veloce colpo di mano, il Demone Possente generò uno spostamento d'aria talmente forte che spense il fuoco. Non c'era luna quella sera, così l'oscurità le avvolse all'improvviso.

«Buonanotte....». Kate era irrequieta. Non faceva altro che pensare a quel ragazzo.

"Marcus.... possibile che sia stato lui? Ma no, che vado a pensare... è solo un sempliciotto. Un bel sempliciotto... ma cosa sto pensando?! Forse è il caso che vada a dormire....", dopo questo pensiero, la ragazza chiuse gli occhi e si addormentò.

HD Remix

Salve miei cari lettori (se mai ce ne fossero)! Faccio questo post per avvertire che inizierò a revisionare i Tre Demoni Bianchi, correggendo gli errori e sistemando la forma del testo. Sono troppo legato a questo piccolo romanzo, il mio primo romanzo, e non è giusto che sia scritto in modo mediocre. Quindi, da oggi innauguro gli HDRemix! Il nome è puramente simbolico, riprende la moda di rifare i vecchi giochi sulle console di nuova generazione e quindi in HD. I Tre Demoni Bianchi potrebbe non essere l'unico racconto che avrà un HDRemix, dipende dal tempo e dalla voglia. Beh, bando alle ciance, vado a (ri)scrivere il primo capitolo de i Tre Demoni Bianchi!

Stay tuned

giovedì 15 maggio 2014

Il Pittore Ambizioso - capitolo 1 - Ispirazione

C'era una volta, un giovane ed umile pittore di nome Elia. Alto, bello, con una folta barba marrone e due grandi occhi verdi, amava dipingere qualsiasi cosa: persone, animali, paesaggi, oggettistica varia... era sempre alla ricerca di qualcosa che lo ispirasse per creare nuovi capolavori. Ma, da qualche anno ormai, il povero Elia aveva completamente perso l'ispirazione. Non riusciva più a dipingere, non riusciva più a trovare un qualcosa, un'idea che gli desse la forza necessaria per dipingere. Un bel giorno decise quindi di andare in pellegrinaggio: visitare posti nuovi e conoscere gente nuova l'avrebbe sicuramente ispirato e fatto tornare la passione per la pittura! Dopo giorni di camminata, eccolo finalmente giungere in un piccolo e povero villaggio costituito da poche casupole di legno in pessimo stato. Acqua e cibo scarseggiavano, gli abitanti erano pochi e malnutriti e tutto intorno non vi era nulla se non rocce e terra rossa.

"Non credo che riuscirò a trovare la giusta ispirazione qui.... pregherò per queste persone, che possano salvarsi" si disse tra sé e sé Elia mentre, con passo svelto, si allontanava dal villaggio.

«Dove stai andando così di corsa straniero?»

Una voce bloccò Elia. Girò la testa verso destra, seguendo il suono di provenienza di quella misteriosa voce, e vide una vecchia seduta a terra, con la schiena appoggiata al muro di una casupola di legno che andava in pezzi. Aveva i capelli grigiastri, leggermente ricci ed unti, la faccia ricoperta di cicatrici e di mosche che le ronzavano intorno. Era sporca e puzzava, vestita com'era solo di stracci.

«Allora, te ne vai di già?» continuò lei, mostrando i pochi denti gialli rimasti in quella bocca rugosa.

«Sta parlando con me signora?» rispose cortesemente Elia.

«Certo giovanotto, vedi qualcun altro?»

Elia si guardò intorno e, con grande sorpresa, vide che non c'era più nessuno: le donne con una giara d'acqua in testa, i bambini intenti a rincorrersi, i gruppi di persone intenti a parlottare, i contadini armati di zappa, i mercanti intenti a strillare... tutti erano spariti.

«Ma.... dove sono andati tutti?» chiese Elia incredulo.

«Pensavo non ti ispirasse questo villaggio, così li ho fatti sparire, eheh» disse ridacchiando la vecchietta.

«Cosa intendi dire con 'li ho fatti sparire'?» domandò Elia fissando quella vecchia con una punta di terrore.

«Hai capito benissimo» replicò seccamente la vecchia, «so che hai intrapreso questo viaggio per cercare l'ispirazione, ormai perduta da anni. Hai visto questo villaggio povero e hai pensato che non potesse esserci nulla qui in grado di ispirarti qualche bel dipinto, non è forse così?»

Elia sbarrò gli occhi e, con voce tremante, disse: «Ma tu... come fai a sapere queste cose?»

La vecchia fissò l'espressione terrorizzata di Elia, quasi provandoci gusto. Infine, sfoggiando un sorriso che mostrava tutti i suoi cinque denti, disse:

«Perché sono una strega»

lunedì 12 maggio 2014

Il Girasole

Spuntano le prime luci dell'alba e il Girasole già inizia a sorridere. Sa che tra poco potrà vederlo, potrà vedere il suo Sole. Eccolo che si intravede. Il Girasole non sta più nella pelle. Si alza, bello e fiero, con lo sguardo rivolto verso di lui, verso quel sole che tanto ama. C'è uno scambio di sguardi, uno scambio di sorrisi. Entrambi sono felici. Continua a spostarsi, il Sole, mentre il Girasole non gli toglie gli occhi di dosso, seppure sia ancorato al terreno. Per lui quella sfera luminosa in cielo è la cosa più bella che possa esistere: passerebbe l'intera sua esistenza ad osservarla.

Il Sole è alto nel cielo ed il Girasole è felice come non mai. Non si parlano, non una parola. Basta un semplice sguardo per capirsi, per entrare in contatto, per sentire le loro anime unite, traboccanti di felicità. Il Girasole si fa inondare dai raggi solari, con il caldo o con il freddo, con il cielo sereno o tempestoso. Perché quei raggi sono l'unica cosa bella che potesse mai desiderare e non permetterà che gli siano negati, non lo permetterà a nessuno.

È trascorsa un'altra giornata, il Sole ha di nuovo fatto il suo dovere ed è tempo per lui di riposarsi. Con un ultimo sorriso, saluta il Girasole per poi tramontare dietro quelle colline, lasciandosi dietro l'oscura notte, illuminata debolmente dalla Luna. Il Girasole è triste. Con la schiena curva, non fa altro che guardare sconsolato il terreno. Non ha più motivo per alzare il volto, benché il cielo presenti un bellissimo spettacolo con la Luna e le Stelle.

"Perché te ne vai via ogni giorno?", si domandava con un velo di tristezza il povero Girasole.

«Che cos'hai piccolo fiore?» chiese cortesemente la Luna al Girasole.

«Non capisco perché il Sole se ne debba andare ogni volta. Sta forse male con me?»

«È il suo compito dover illuminare il mondo di giorno e riposarsi la notte. Non può rimanere per sempre»

«Ma io mi sento solo»

«Lo rivedrai domani»

«E se domani non dovesse arrivare?»

«Allora lo aspetterai»

«Ma non voglio aspettare, ho bisogno di lui ora!»

Il girasole scoppiò a piangere.

«Non è piangendo che lo farai arrivare. Vedi, io sono la Luna e queste sono le mie figlie: le Stelle. Come te, anch'io devo aspettare per poterle vedere e loro fanno lo stesso con me. Dobbiamo imparare ad essere pazienti. Arriverà il tuo Sole, vedrai che arriverà. Devi solo imparare ad essere paziente. E credimi, l'attesa verrà ripagata. Ma nel frattempo, non stare chinato ad osservare la terra. Alza lo sguardo verso il cielo. Il tuo Sole sarà anche magnifico, non lo metto in dubbio, ma ci sono moltissime altre cose belle nel mondo. Non privartene solo perché sei triste. Impara a sorridere e a guardare avanti anche senza di lui. E quando tornerà, potrai raccontargli di tutte le belle cose che hai visto in sua assenza e che lui probabilmente non avrà mai visto in vita sua. E lui farà altrettanto con te»

Il piccolo Girasole alzò pian piano la testa, con gli occhi ancora intrisi di lacrime. Vide il cielo con la Luna e le Stelle e rimase sbalordito. Si asciugò le lacrime e cominciò a sorridere.

«Che spettacolo magnifico! Ti ringrazio per le tue belle parole Luna, sono sicuro che il Sole rimarrà sbalordito quanto me non appena gli racconterò cosa ho visto questa notte!» disse il Girasole con il sorriso in volto.

Non bisogna mai lasciarsi andare alla tristezza, in attesa che sorga il Sole.

mercoledì 7 maggio 2014

Per te

Per te farei tante cose, e tante cose non le farei.

Non farei promesse che non potrei mantenere.

Non direi "farei di tutto", perché quel "tutto" non sarei in grado di farlo.

Non ti donerei il mondo, la luna e tutte le stelle, perché quelle cose non mi appartengono (oltre ad essere fisicamente impossibili da donare)

Ma farei di meglio.

Ti suonerei una canzone al piano, per scaldarti il cuore.

Ti scriverei una poesia, per allietare la tua mente.

Ti ascolterei in qualunque situazione, a qualunque ora del giorno e della notte.

Ti abbraccerei quando ne hai bisogno, anche quando non me lo chiederai.

Ti porterei a vedere i fuochi d'artificio che ti piacciono tanto, per vedere la meraviglia nei tuoi occhi, uno spettacolo decisamente più bello di qualche lucina nel cielo.

Ti porterei in spiaggia, per farti sentire il mare e farti cullare dal suono delle onde.

Ti regalerei un libro e poi ti chiederei di raccontarmi le tue impressioni una volta finito di leggerlo.

Ti farei viaggiare, sia con il corpo che con la mente, verso luoghi lontani, per farti meravigliare ancora e ancora.

Ti chiederei di raccontarmi la tua giornata, per sapere se sei stata bene oppure no. E, in caso contrario, coccolarti. Ma anche nell'altro caso, dai.

Farei tutto questo, per te. Ma, cosa più importante, ti farei ridere. Perché voglio che tu sia felice. E perché quel tuo sorriso, quel meraviglioso sorriso, mi scalda il cuore.

Per te io vivrei, e ti farei vivere.

domenica 4 maggio 2014

Le stagioni del cuore - Inverno

È inverno, la stagione del silenzio. Tutto intorno tace: i fiori appassiti, gli alberi spogli, gli animali in letargo nelle loro tane. Si sente solamente il sibilo del vento. Un vento gelido, che non porta altro che desolazione. Non c'è più niente di 'vivo', non c'è più niente di 'colorato'. Tutto tace. E così, anche i sentimenti del cuore. Quei sentimenti che hanno visto la primavera, vissuto una meravigliosa estate ed appassiti durante l'autunno. Quei sentimenti che ora sono freddi. Freddi come l'inverno. Non sono più capaci di essere vivi e colorati, né di provare e dare gioia. Sono freddi, colpiti dall'inverno come tutti. Il piccolo cuore quindi, decide che l'unica soluzione plausibile sia il letargo. Non per sua scelta. E così, cade in un sonno profondo. Un sonno isolato, lontano da tutto e da tutti. Un sonno che sembra eterno, fino all'arrivo della prossima primavera. Ma quando avverrà ciò? Non si sa. Già, perché l'inverno del cuore non dura come un normale inverno. Potrebbe durare un giorno, come anche settimane o, perché no, perfino anni. Niente potrà risvegliarlo. Niente, a parte l'arrivo della primavera. Una primavera che forse non lo troverà. Scovare la sua 'tana' e riuscire a destarlo dal suo letargo non è un'impresa facile. Ma il cuore ci spera. Spera che torni di nuovo la primavera. Spera di poter tornare a vedere la luce del sole, a sentire di nuovo il canto degli uccelli, a poter annusare il profumo dei fiori e a sentire il calore di quella meravigliosa atmosfera. Ci spera.
Nel suo letargo.
Dalla sua tana.
Circondato dal freddo e dalla desolazione.
Solo.

Inverno

sabato 3 maggio 2014

Le stagioni del cuore - Autunno

È autunno, la stagione del cambiamento. I fiori stanno appassendo, gli alberi stanno pian piano perdendo il loro manto di foglie, diventate rossastre, gli animali si preparano per un lungo e silenzioso sonno, nelle loro tane. Tutto intorno ha un colore più spento, più malinconico, come a presagire un qualche addio. Tutto cambia. Tutto. Anche i sentimenti. Quei sentimenti sbocciati in primavera ed esplosi in estate, adesso stanno cambiando. Come il fiore che appassisce, anche loro stanno appassendo. Come gli alberi che perdono il loro manto a cui sono legati, anche loro stanno perdendo qualcosa che li lega a qualcuno. Come gli animali che si preparano per il letargo lontano da tutto e da tutti, anche loro si stanno preparando per allontanarsi. Ma esistono anche le eccezioni: fiori che non appassiscono, alberi che rimangono sempre verdi e folti, animali che non vanno in letargo, così anche alcuni sentimenti rimangono immutati. Ma, come già detto, tutto cambia. E loro devono adattarsi. Adattarsi al cambiamento forzato che gli è stato imposto. Ad accettare quello che non vorrebbero mai accettare. A rimanere soli, quando hanno bisogno di qualcuno. Quel qualcuno che li ha spinti al cambiamento. L'ultimo fiore è appassito, l'ultima foglia è caduta, l'ultimo animale è sparito alla vista. I due cuori si sono allontanati. Ed il peggio... deve ancora venire. 
L'inverno sta arrivando.

Autunno

7 miliardi

Siamo 7 miliardi nel mondo, eppure...

Il tuo viso è quello più bello, da far invidia agli angeli

I tuoi occhi sono quelli più profondi, in cui perdersi ogni volta

Il tuo sorriso è il più ammaliante, da farti perdere la testa

Le tue guance sono le più dolci, arrossiscono per le piccole, grandi cose

Le tue labbra sono le più sensuali, da baciare in continuazione

I tuoi capelli sono i più soffici, da accarezzare fino a consumarli

Le tue mani sono le più calde, da tenere strette alle mie

Le tue braccia sono le più forti, in grado di sostenermi con i tuoi abbracci

Le tue parole sono le più rassicuranti, da ascoltare per ore ed ore

Le tue idee sono le più rivoluzionarie, rivoluzionano la mia vita

I tuoi pensieri sono i più magici, in grado di farti sognare

Le tue speranze sono le più coraggiose, da farti credere in un futuro migliore

Le tue lacrime sono le più pure, da farmi commuovere a mia volta

Ed infine, il tuo meraviglioso carattere... che ti rende unica. Proprio come me.

Siamo 7 miliardi nel mondo, ma tu sei la sola con cui vorrei stare.

giovedì 1 maggio 2014

Le stagioni del cuore - Estate

È estate, la stagione della passione. Arrivano le belle giornate che sembrano durare in eterno, il caldo afoso affievolito da qualche lieve brezza fresca di tanto in tanto, il mare, le vacanze, le nottate alzato fino a tardi, il gelato, le giornate in piscina, le lunghe passeggiate al chiaro di luna, il rumore delle onde, il profumo di salsedine. Ma, soprattutto, il forte sentimento che lega due cuori. Oramai la primavera è passata, i due cuori hanno imparato a conoscersi e a volersi bene. Sopraggiunge quindi la passione. La passione che li travolge come un fiume in piena, dalla quale non possono scappare. Dalla quale non vogliono scappare. La passione che gli fa vivere giornate infinite piene di sentimento, dove tutto è fin troppo perfetto. Dove tutto si illumina di immenso, proprio come quel sole che splende forte e possente in cielo, nella stagione più calda di tutte. Dove la sera è soltanto un nuovo inizio di quella stessa giornata.

Ed i due cuori sono così uniti da formarne uno solo.

Estate